Energia, crescita, fossili: un mito in discussione.
Dall
DallaUn contributo di Mario Agostinelli, Presidente dell'Associazioni Energia Felice e Laudato Si'
pecr comprendere la posta in gioco della COP 29 di Baku.
uzione industriale
è particolarmente significativo traguardare lo stato del mondo
in cui viviamo anche
attraverso una lente particolarmente ricca di indicazioni e foriera
di
deduzioni: la lente
dell’energia. Un occhiale molto pervasivo e assai potente, che
mette a
fuoco il rapporto tra umanità
e natura nelle sue articolazioni spaziali e temporali,
dispensatore di spunti che
segnalano le decisioni più improvvide, le diseconomie più
nascoste, le pressioni
sull’opinione pubblica, gli annunci di novità tecnologiche di là
da
venire, nell’intenzione,
spesso, di mantenere il Pianeta in uno stato di perenne transizione,
senza uno sbocco definitivo
dalla geopolitica alla biosfera.
Eppure, si sono esplicitati in
più occasioni tentativi di grandi pensatori di rimettere al centro
non la materia inanimata, ma
la vita. Non solo nei tempi passati, ma anche nel pieno delle
rivoluzioni scientifiche più
recenti. Varrebbe la pena ricordare come Erwin Schroedinger
già nel secolo scorso avesse
cercato di rendere ragione degli eventi spazio-temporali che
si verificano entro i limiti
spaziali di un organismo vivente, precisando formulazioni sulla
natura fisica dei geni, fatte
dieci anni prima della scoperta della struttura a doppia elica del
Dna. Egli affrontava con
coraggio un apparente paradosso: che il gene fosse
rappresentato da un numero
molto ridotto di atomi “materiali”, che mantengono in modo
stabile l’informazione
ereditaria attraverso le generazioni lungo i secoli. In sostanza, già
la
quantistica apriva la strada a
unificare mondo materiale e vita e, quindi, a rivalutare i
processi energetici
compatibili non solo con la trasformazione dell’ambiente
artificiale, ma
come interagenti tutt’altro
che passivi nella trasmissione della vita, dell’evoluzione, della
sopravvivenza. Successivamente
e per un lungo periodo, la fisica si è staccata dalla
biologia e si è impegnata
nell’espansione della potenza distruttiva della fissione o della
fusione atomica, perdendo di
vista la continuità tra la densità energetica utile alla
distruzione e quella molto più
cruciale indispensabile alla sopravvivenza.
In questo più recente quadro
i conflitti armati, la crescita dell’ingiustizia sociale,
l’arretramento della
democrazia, la sottovalutazione della spesa pubblica per arginare la
crisi climatica, ereditano il
pericoloso lascito della razionalità geopolitica sbocciata dopo la
fine della Seconda guerra
mondiale, che aveva creato grandi drammi ad Einstein e perfino
ad Oppenheimer, ma non certo
ai governanti anglo-americani e sovietici in competizione di
potenza.
La proliferazione del nucleare
e la diffusione dell’Intelligenza Artificiale
Ad ora, purtroppo, la
proliferazione dell’ordigno termonucleare e l’accelerata
diffusione
della Intelligenza Artificiale
(IA) caratterizzano e mettono a fuoco il passaggio ad un’era in
cui la sopravvivenza biologica
del vivente e il libero arbitrio dell’umano vengono
nuovamente posti a rischio
dalla disponibilità di enormi densità energetiche, create
artificialmente in funzione di
un potere incontrollabile e divorante, oscurando quanto
avvenuto ad Hiroshima e
Nagasaki ed in contrapposizione con i processi di energia
minima che caratterizzano il
mondo naturale. Un sistema, quello naturale, che si
autoriproduce e si conserva,
generazione dopo generazione da milioni di anni.
l ri
vol
2
In
continuità con le sfide che l’umanità dai primi del secolo scorso
aveva affrontato e
indagato
con le bizzarrie del comportamento dell’infinitamente piccolo
(particelle
subatomiche
sottoposte a campi di forza prima inimmaginabili), ora ci si sta
spingendo a
scoprire
come l’applicazione del calcolo a numeri immensamente grandi di
dati (la
sostanza
dell’Intelligenza Artificiale) possa costituire una risorsa per
l’automazione dei
processi
produttivi, la riparazione di quelli biologici e, soprattutto, la
previsione dei
comportamenti
politici e sociali futuri di contendenti in competizione, anziché in
cooperazione.
La matematizzazione del contenuto dell’universo intero è un
tentativo
pericolosamente
in atto, in cui spazio, tempo e causalità sarebbero modellati da
algoritmi
potentissimi
che operano su data center stipatissimi, con un impiego incalcolabile
di
energia
elettrica di alimentazione e con la presunzione di descrivere e
gestire la
permanenza
- ovvero la rappresentazione stabile - degli oggetti sotto
osservazione e
controllo
continuo.
L’attuale
passaggio d’era – se non monitorato o, addirittura in alcuni
aspetti neutralizzato -
richiederebbero
un tale dispendio energetico da avvicinarci al collasso della
biosfera.
Benjamin
Labatut, un divulgatore scientifico molto apprezzato, raccomanda “di
prestare
attenzione
a come da fine del secolo scorso si sia oltrepassato un confine: come
se un
genio
si fosse annidato nelle scienze e le generazioni future non fossero
più riuscite a
rimetterlo
dentro”. 1 Senza arrivare al suo allarmismo, dobbiamo tuttavia
registrare come la
turbolenza
politica ed economica torna a dilaniare L’Europa, il Medio Oriente
e non solo,
mentre
i blocchi contrapposti tornano ad affidare a tecnologie ad altissima
intensità
energetica
le sorti dei loro conflitti. Intanto – direi troppo sommessamente -
le popolazioni
mondiali
svoltano verso le fonti rinnovabili ed a potenza regolabile e
diffusa, mentre guerre
e
– come vedremo più avanti – l’IA, premono per la
procrastinazione del tempo dei fossili e
del
nucleare, oscurando la prospettiva di pace al fondo di quella
democrazia sociale che
aveva
trovato nell’Onu e nelle costituzioni postfasciste un terreno di
possibile
realizzazione.
2023:
un anno sismico per il clima
Secondo
il Global Carbon Budget 2023, elaborato dall’Università di Exeter
nel Regno
Unito,
quest’anno le emissioni di CO 2 sono aumentate dell’1,1% rispetto
al 2022 e
dell’1,4%
sul 2019, anno di prepandemia. 2 A quasi dieci anni dalla Cop 21 di
Parigi (2015),
non
arriviamo ancora a tagliare significativamente l’inquinamento
legato al consumo di
combustibili
fossili (petrolio, gas naturale e carbone).
Eppure,
nuovi segnali provenivano dall’anno del Covid 19. Invece, negli
anni seguenti e
pur
in un quadro di produzione industriale più debole, un’estesa
siccità e il precipitare delle
guerre
hanno in parte attenuato l’effetto combinato di una più larga
diffusione delle energie
rinnovabili
e di una consistente fuoriuscita dal carbone e dal gas. Per la prima
volta,
almeno
metà della produzione di elettricità nelle economie avanzate è
arrivata da fonti a
basse
emissioni, sottoponendo gli incerti passi verso la transizione
all’energia pulita ad
una
serie di stress test che ne hanno dimostrato la resilienza. Un
avanzamento ancora
insufficiente
e contrastato, che non basta affatto, anzi!
1
Benjamin Labatut Maniac, Adelphi, Milano 2023, pp. 361
2
https://essd.copernicus.org/articles/15/5301/2023/
3
Novanta
istituzioni di tutto il mondo, tenendo conto anche delle emissioni
provenienti
dall’azione
umana di deforestazione in diverse aree, concordano nel notificare
entro la fine
del
2023 una quantità totale di CO 2 immessa in atmosfera pari a 42
miliardi di tonnellate.
Una
cifra che comporta il raggiungimento di 419,3 parti per milione (ppm)
di CO 2 in
atmosfera,
equivalente al 51% in più rispetto ai livelli preindustriali.
Lo
stesso documento ha registrato anche i dettagli di questo
innalzamento: l’anno appena
trascorso
conteggia un incremento delle emissioni di CO 2 dovute al petrolio
del +1,5%; al
carbone
del +1,1%; al gas naturale del +0,5%. Anche se, per quanto riguarda
grandi
emettitori
pro-capite, come Stati Uniti ed Unione europea, il 2023 segnala,
rispettivamente,
un
-3% e un -7,4%: ma non ci possiamo consolare, perché alla Cop di
Parigi la loro quota
di
riduzione era prevista almeno tre volte tanto.
Con
il bilancio dell’anno appena terminato, la Terra è sicuramente
destinata a superare la
soglia
di 1,5 °C all'inizio del 2030, anziché a fine secolo.
Siamo, in definitiva, di fronte ad
un
autentico evento sismico per il clima, che obbligherà ad affrontare
sfide e costi ancora
maggiori
nel prossimo decennio.
Prevenire
ogni ulteriore aumento del riscaldamento è quindi decisivo qui ed
ora: per le
persone
e la natura. Più le temperature aumentano, più bruschi saranno gli
impatti dei
cambiamenti
climatici e più alto sarà il rischio di punti critici (tipping
points 3 ) e di
conseguenze
irreversibili sugli ecosistemi, nonché sulle vite ed i mezzi di
sussistenza delle
persone.
Risulta
quindi fondamentale raggiungere il picco delle emissioni globali di
gas serra non
più
in là del prossimo anno, per poi ridurle di almeno il 43% entro il
2030. Ma per
un’azione
siffatta, in grado di trasformare le economie, i sistemi energetici
ed alimentari,
nonché
di proteggere e ripristinare la natura – perché di tanto si tratta
- occorre adottare
una
velocità ed una scala dimensionale senza precedenti. Una velocità
ed una scala non
certo
a portata di mano, perché ostacolate senza sufficiente reazione da
un negazionismo
duro
a recedere ed addirittura esplicitato ai più alti livelli alla
ultima Cop28 di Dubai.
Ci
avviciniamo così a quello che si può definire un sisma climatico,
partendo da una
situazione
tutt’altro che favorevole, in cui la diffusione ancora
insufficiente dell’energia
pulita
rimane eccessivamente concentrata nelle economie avanzate e
in Cina, indicando
pertanto
una necessità di maggiori sforzi internazionali e la più pressante
sollecitazione
per
l’autorizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili, che invece
vengono ritardati
colpevolmente,
come accade ormai di norma nel nostro Paese.
Il
complesso tema dell’agricoltura
Intanto,
sta emergendo con decisione la questione controversa e sottovalutata
dell’impatto
dell’agricoltura
sul clima. Da questo punto di vista, la cancellazione degli obiettivi
di
riduzione
dei concimi che provocano gas climalteranti e il ritiro del
Regolamento Sur 4 per
la
riduzione dell’uso dei pesticidi da parte della Commissione europea
costituiscono un
grave
colpo alle strategie del Green Deal, alla tutela dell’ambiente e
della salute dei
cittadini.
La siccità sia diventando un fenomeno permanente, insieme alle
piogge erratiche,
e
la fertilità dei suoli agricoli sta scomparendo. “Fateci produrre
senza condizionamenti”
3
https://www.reteclima.it/tipping-points-ambientali-e-riscaldamento-climatico/
4
Regolamento sull'Uso Sostenibile (Sur), che mirava a ridurre
l'uso di agrofarmaci entro il 2030
4
sembrava
la parola d’ordine della “rivolta dei trattori”, ma se le
politiche pubbliche
continueranno
a sostenere il modello industriale, quello che mette a disposizione
dell'industria
agroalimentare materie prime a basso costo per rendere competitivo il
made
in
Italy, allora le risorse andranno a beneficio di chi diventa
competitivo tagliando la
componente
del costo di produzione più flessibile: il costo del lavoro.
Va
messo in rilievo che la sola agricoltura a livello globale
contribuisce al 22% delle
emissioni
dei gas climalteranti (il 9% a livello di Unione europea e il 7% a
livello italiano).
Se
calcoliamo tutte le emissioni dell’intera filiera agro-alimentare,
il contributo stimato a
livello
globale può arrivare al 37%. In Europa e in Italia, l’agricoltura
è la principale causa
di
perdita degli habitat naturali e delle specie selvatiche: si stima
che negli ultimi 30 anni si
sia
perso il 70% della biomassa di insetti volatori, la maggior parte
impollinatori, che
garantiscono
l’80% della produzione agricola. 5
In
Italia nel 2021 sono stati venduti oltre 50 milioni di kg. di
sostanze chimiche per
l'agricoltura,
e il nostro Paese si colloca al terzo posto in Europa, dopo Spagna e
Francia,
per
vendita di prodotti fitosanitari. Gli effetti del cambiamento
climatico e della perdita di
biodiversità
stanno già causando impatti devastanti sui raccolti ed i mezzi di
sussistenza in
tutto
il mondo, dove la dipendenza dai combustibili fossili si mantiene
decisiva, in quanto
l’attività
agricola è diventata incredibilmente efficiente utilizzando grandi
attrezzature
meccaniche,
di solito alimentate a diesel, insieme a una serie di prodotti
chimici, tra cui
erbicidi,
insetticidi e fertilizzanti. Abbandonare l’agricoltura delle
multinazionali
significherebbe
che gli agricoltori dei paesi ricchi vivrebbero usando pochissimi
combustibili
fossili, o che le loro popolazioni contadine si assimilerebbero alle
popolazioni
indigene
e contadine dell’America Latina, dove il tempo di lavoro è
principalmente
dedicato
alla cura della terra. Uno scenario oggi inimmaginabile, ma in
prospettiva
necessario,
se collocato nella società minacciata dal clima. Le aziende
contadine escluse
dai
fondi della politica agricola comune o dai fondi aggiuntivi del Pnrr,
ma che hanno
avviato
la transizione ecologica, sono passate al biologico da
trent'anni, hanno inventato i
mercati
contadini, l'agriturismo, la conservazione della
biodiversità, hanno condotto la
battaglia
per liberare l'agricoltura dagli Ogm: eppure non hanno
rappresentanza
istituzionale.
Il
greenwashing nasconde abilmente la quota fossile
La
transizione energetica sta cambiando radicalmente il modo in cui
operano le
compagnie
petrolifere e del gas; con il calo della domanda di combustibili
fossili, i
tradizionali
segmenti di business di idrocarburi diventerebbero rapidamente
obsoleti.
Ma
poiché il capitalismo è profondamente dipendente dai fossili e dato
che gli Stati Uniti,
in
quanto nucleo centrale, sono intrinsecamente dipendenti dal petrolio
e dal gas di cui
non
possono e non vogliono sbarazzarsi, è in atto una grandiosa opera di
mascheramento
-
di greenwashing - lungo tutto l’arco dei processi che arrivano dal
pozzo di estrazione fino
alla
vendita del combustibile finale sul mercato.
L’esperta
di energia Gail Tverberg sostiene che l’attuale sistema si basa
ancora sui
combustibili
fossili, che vengono utilizzati in ogni genere di attività, da
Internet alla
5
Vedi WWF Italia
5
produzione
di pannelli solari, dalla costruzione di edifici all’estrazione di
materie prime e al
trasporto
di merci e che il loro contributo viene virtualmente sottratto
all’attenzione
rendendo
seducenti le caratteristiche dei prodotti finali immessi sul mercato
(auto
semiautomatiche,
telefonini multifunzione, elettrodomestici controllabili a distanza
etc.)
anziché
sull’intero ciclo di vita degli stessi. Un percorso, quest’ultimo,
che incorpora
impunemente
una quota assai rilevante di combustioni di materiali fossili
inquinanti.
Insomma,
del petrolio non ci possiamo liberare perché desideriamo merci che
ne
incorporano
inevitabilmente le proprietà nel percorso di produzione e, talvolta,
come nel
caso
della mobilità, direttamente all’atto di funzionamento. Quanto
petrolio c’è, ad
esempio,
nella bottiglia della più virtuosa delle acque minerali?
Questa
è forse la forma più insidiosa di greenwashing, più sottile e meno
rilevabile di
quella
tradizionale di sequestrare la CO 2 sottoterra o di immettere
idrometano nelle
condotte
predisposte per il gas.
Jean
Baptiste Fressoz, intervistato da il manifesto 6 in relazione a un
suo recente saggio
che
ha fatto molto discutere in Francia, ma di cui non vi è ancora la
traduzione in italiano,
invita
ad abbandonare la retorica sui temi energetici in quanto “le varie
fonti sono in
simbiosi
fra loro” e nessuna fonte nella storia è diventata realmente
sostitutiva di quella
precedente,
che continuerebbe in valore assoluto a mantenersi sui livelli
passati, se non
altro
per portare a compimento la costruzione degli impianti che funzionano
con le nuove
fonti
sostitutive. Anche questa affermazione è, a mio avviso,
un’operazione che fa comodo
all’industria
ed ai governi che rigettano la conversione ecologica, perché così
possono fare
credere
e accettare che la crisi climatica possa o debba avvenire prima della
transizione
alle
fonti sostitutive necessarie per evitarla, e, di conseguenza, si
possa continuare per
inerzia
a non rivoluzionare il paradigma energetico dalle fondamenta, in
attesa magari di
nuove
mirabolanti tecnologie di là da venire e tali che risolvano il
problema senza un
abbandono
strutturale del sistema capitalistico e della crescita che ci hanno
condotto al
punto
attuale.
C’è
da chiedersi perché ci si riserbi, anche a sinistra, una certa
esitazione per quanto
riguarda
la conversione energetica: la più profonda, con l’impiego solo
delle energie
rinnovabili
ed un radicale contenimento dei consumi. La ragione sta anche nel
fatto che
parte
del potere del sistema oggi risiede nella promozione di un ecologismo
che non mette
in
discussione il capitalismo e crede in una tecnologia progressista,
come vengono definite
sia
la versione del nucleare di nuova generazione, che la fusione, o,
ancora, la cattura in
atmosfera
o sottoterra degli inquinanti in eccesso.
I
nuovi ostacoli alla conversione: la crescita dello shale gas
Ovviamente,
non va per la maggiore solo il greenwashing, ma ci sono ben altre
frecce a
disposizione
dei negazionisti e degli avversari alla conversione energetica.
ReCommon
documenta
alcune palesi contraddizioni: la Bp si è impegnata a ridurre le
emissioni
derivanti
dalla produzione e dall’uso dei suoi prodotti del 35-40% entro il
2030, ma il 30%
del
pacchetto retributivo totale dei suoi dirigenti viene determinato da
obiettivi che
6
Andrea Capocci “La transizione che non c’è”, intervista a Jean
Baptiste Fressoz in il manifesto del 27
febbraio;
il saggio cui si riferisce l’intervista è Jean Baptiste Fressoz
Sans transition. Une nouvelle histoire de
l’energie,
Seuil, Parigi 2024
6
incentivano
direttamente o indirettamente la crescita della produzione. E, per
non rimanere
all’asciutto,
Eni, Total-Energies e Repsol hanno promesso tagli del 30-35% entro il
2030,
mentre
i loro obiettivi di crescita presentati nei piani industriali
pluriennali determinano,
rispettivamente,
il 18%, 15% e 12% di aumento della estrazione di gas.
Anziché
incentivi di crescita delle retribuzioni dei manager, offerti spesso
sotto mentite
spoglie,
gli azionisti dovrebbero chiedere incentivi che diano priorità al
valore, rispetto alla
crescita
dei volumi di petrolio e gas. Proteggerebbero così i loro
investimenti, mentre
prende
avvio un’autentica conversione energetica, che sta già premiando a
breve e nel
lungo
periodo il mercato dei green bonds.
Global
Vision Market 7 ha pubblicato una ricerca sul mercato di gas da
scisto tra il 2023 e il
2030.
Un mercato che supera i principali segmenti di business in atto ed
evidenzia aree
geografiche
di livello assai più ampio e distribuite in tutti i continenti. Il
rapporto, che
fornisce
dettagli utili sullo stato attuale e sull’espansione futura
prevista del settore, utilizza
sia
approcci primari che secondari alla raccolta dei dati.
Considerando
attentamente fattori economici, sociali, ambientali, tecnologici e
politici
vengono
fornite indicazioni sulle entrate e sulle vendite per ogni regione e
paese, raccolti
attraverso
una ricerca completa dal Nord America (Stati Uniti, Canada, Messico),
all’Europa
(Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Russia, Spagna, Resto
d’Europa),
all’Asia-Pacifico
(Cina, India, Giappone, Singapore, Australia, Nuova Zelanda), al Sud
America
(Brasile, Argentina), al Medio Oriente e all’Africa (Turchia,
Arabia Saudita, Iran,
Emirati
Arabi Uniti, Africa, Resto del Mea). Da questo report si deduce che
in futuro lo
shale
gas sarà un temibile concorrente su scala planetaria,
indipendentemente
dall’impatto
ambientale terrificante già registrato negli Stati Uniti ed in
Canada. Una
mappatura
così ampia tiene conto esplicitamente non solo dell’instabilità
del mondo
attuale,
bensì anche della possibilità che i vari segmenti di mercato
vengano influenzati da
probabili
pandemie o da scontri armati.
La
ricerca rivela che l’Europa è diventata il principale mercato di
esportazione per
l’industria
statunitense del Gnl da scisto. Si sottolinea anche che il continente
era così
preparato
per questa stagione invernale rispetto alle precedenti, da aver
indotto i Paesi
dell’Ue
ad aumentare gli acquisti di gas naturale liquefatto da fornitori di
shale gas da varie
regioni
del pianeta, rifornendo in anticipo di carburante i loro impianti di
stoccaggio e
consentendo
così margini significativi di extraprofitti.
L’incognita
dell’idrogeno
Molti
operatori nella filiera del metano hanno sposato con entusiasmo le
strategie
sull’idrogeno
delle più grandi istituzioni mondiali: dall’Agenzia internazionale
dell’energia
(Iea)
al Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) delle
Nazioni Unite,
dall’Ue
agli Usa. L’idrogeno verde è sicuramente una componente della
transizione,
purché
se ne valutino appieno le qualità. Sia sul piano dell’offerta, che
dell’efficienza e
della
domanda che dovrà soddisfare
A
prescindere dall’applicazione specifica, l’uso dell’idrogeno
come carburante o
combustibile
è intrinsecamente poco efficiente perché richiede un doppio impiego
di
7
https://www.gvmr.in/
7
energia:
il primo per scindere le molecole di metano, carbone, petrolio o
acqua in idrogeno
e
il secondo per trasformare di nuovo l’idrogeno, così ottenuto, in
energia termica tramite
caldaia
o in energia elettrica tramite una turbina. Questi doppi processi
provocano perdite
a
ogni conversione, con un’efficienza energetica di andata e ritorno
compresa fra il 18% e
il
46%, secondo la Ieefa 8 .
Risulta
in ogni caso utile nella riduzione dei rottami e dei minerali ferrosi
nei forni ad arco
per
l’acciaio e nella produzione di ammoniaca per l’industria
agricola e chimica. Occorre
inoltre
ricordare che il 25% dell’idrogeno mondiale oggi è usato per la
raffinazione del
petrolio
in benzina e gasolio e si tratta nella quasi totalità di provenienza
da metano:
quindi,
non si tratta, per lo più, di idrogeno verde. Con la diffusione
della mobilità elettrica,
buona
parte di questa fonte di domanda per la raffinazione sparirà,
sebbene sia in fase di
progresso
il suo impiego nelle celle a combustibile sia per i treni che per i
veicoli pesanti,
mentre
per la propulsione navale ed aerea rimane il combustibile più
interessante.
L’economia
dell’idrogeno, nonostante la sua sostenibilità energetica
climatica ambientale
ed
economica sia sottoposta ad un esame approfondito, rimane
indispensabile per alcuni
casi
particolari di riconversione, ma ad oggi si procede con maggiore
prudenza rispetto al
passato,
dato che le sue potenzialità sull’intera catena del valore sono
ancora da testare
per
un contributo significativo e permanente.
Il
ritorno del nucleare
A
fronte della crisi del clima l'energia nucleare continua ad
essere l'opzione più costosa e
lenta
per raggiungere le emissioni zero nette. Nonostante ciò, a Dubai,
con un accordo tra
22
Paesi, si è fatta strada l'idea di triplicare l'energia
nucleare, con un invito agli azionisti
della
Banca mondiale, alle istituzioni finanziarie internazionali e alle
banche di sviluppo
regionale
ad incoraggiare la sua inclusione nelle loro politiche di prestito.
La Francia
continua
ad essere capofila di un allargamento della quota di energia
dipendente
dall’atomo,
nonostante abbia dovuto ammettere che nel 2022, per la prima volta
dopo oltre
40
anni, l’intero Paese era diventato un importatore netto di energia
elettrica, a causa di
una
produzione limitata del suo nutritissimo parco, messo in stallo dalle
anomale ondate di
calore
estive.
Sotto
la spinta della leadership industriale legata ad Edf, la stessa
Francia ha promosso in
sede
europea un’iniziativa per aumentare la cooperazione industriale in
campo atomico.
Ad
essa hanno aderito altri dieci Stati membri: Bulgaria, Croazia,
Ungheria, Finlandia,
Olanda,
Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia. In
quell’occasione il
governo
italiano si è mantenuto defilato, ma non ha perso l’occasione di
riesumare a metà
2023
un dibattito spento da ben due referendum, presentando alla Camera
una mozione
che
impegna il governo “a partecipare attivamente, in sede europea e
internazionale, a
ogni
opportuna iniziativa, sia di carattere scientifico che promossa da
organismi di natura
politica,
volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari (IV
generazione,
fusione
nucleare) destinate alla produzione di energia per scopi civili” 9
. Un invito subito
raccolto
con una lettera di intenti firmata da Edf, Edison, Ansaldo Energia e
Ansaldo
8
https://www.linkedin.com/posts/arjun-flora
9
Vedi ItaliaOggi del 10 maggio 2023
8
nucleare
“per collaborare allo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e
favorirne la
diffusione,
in prospettiva anche in Italia”.
Se
prima ritenevo questo improvviso ritorno di interesse un puro
diversivo per posticipare
le
autorizzazioni dei nuovi impianti a fonti rinnovabili, ora mi
riferisco, con maggior
preoccupazione,
a due fatti di rilievo.
Dapprima,
una affermazione di Frank Bogovič (che ha sostituito Timmermans come
commissario
Ue al clima) che ha esplicitamente sostenuto “l’affidabilità
degli Smr (i piccoli
reattori
modulari) per aumentare la produzione di energia in qualità di nodi
di rete elettrica
a
sostegno di solare e fotovoltaico, cui ha fatto eco il ministro
italiano Pichetto Fratin
auspicando
la realizzazione di partnership internazionali pubbliche e private
per lo
sviluppo
del nucleare di ultima generazione.
Successivamente,
nel marzo del 2024, e con una caratura assai più pesante, è stata
approvata
dalla maggioranza a Montecitorio una mozione che prevede una indagine
conoscitiva
sui possibili vantaggi dell’energia nucleare, che potrà entrare in
quota nel mix
energetico
nazionale per raggiungere gli obbiettivi climatici. Significativo, al
riguardo,
l’avvertimento
dell’onorevole Luca Squeri di Forza Italia: “l'approvazione
dell'indagine è lo
step
per un'operazione che ha finalità ben precise: un confronto
scevro da quelle pulsioni
ideologiche
e quei pregiudizi che per troppi anni hanno condizionato il dibattito
sul
nucleare”
10 . Ne ho già in parte trattato nel precedente numero di questa
rivista, ma qui
vorrei
mettere a fuoco una riflessione su quella che, sul sito web di Edf,
viene definita “una
soluzione
flessibile per diverse esigenze, non solo per la produzione di
elettricità, ma
anche
per l’energia termica (ad esempio per reti di teleriscaldamento) e
per produrre
idrogeno”:
in sostanza i piccoli reattori modulari (Smr).
Si
è aperto quindi uno spiraglio ed individuata una rotta e sono gli
Smr il vero centro di
attenzione.
Il focus è sui piccoli reattori modulari Smr Nuward, riguardo i
quali Edf e
Ansaldo
nucleare - spiega una nota congiunta - hanno recentemente firmato un
primo
contratto
per la fornitura di studi di ingegneria per questo tipo di impianti,
definiti
complementari
allo sviluppo delle fonti rinnovabili e con possibili applicazioni
anche per
alimentare
distretti industriali a elevato consumo energetico.
Strano
che questo riaccostamento all’atomo non abbia suscitato clamore,
anche perché si
può
intravvedere dietro ad esso una pericolosissima soluzione di sostegno
alla grande
richiesta
di elettricità dovuta ai consumi dei data center per l’Intelligenza
Artificiale.
Smr
e IA: l’ennesima formula per la crescita
Sulla
transizione energetica il nostro governo procede per annunci, spesso
contradditori e
quasi
sempre proiettati in decenni successivi alle scadenze cui saremmo
chiamati a
rispondere
riducendo l’impatto climatico del nostro sistema. Sia che si
trattasse della
fusione
nucleare con cui imitare il sole, che del piano Mattei con cui
ricolonizzare il sud del
Mediterraneo
o, infine, dell’”hub europeo” creato per raccattare e
sequestrare la CO2
emessa
dai residui turbogas rimasti in Europa, non c’è proposta di
politica energetica che
ci
abbia riabilitati come diligenti esecutori del Green Deal Ue, o,
nemmeno, di quello che
rimane
dopo della svolta del Partito popolare europeo (Ppe).
10
Vedi Domani del 5 Marzo 2024
9
Di
fatto, rientriamo volentieri nell’alveo della “ritirata” della
Von der Leyen, timorosa di
essere
danneggiata dalla “frenesia verde” (secondo la “grammatica”
di Vox, Fpoe, Fidesz
e
Afd) che l’aveva fatta conoscere come alfiere delle rinnovabili,
invise alle destre europee
in
crescita nei sondaggi e, insieme, oppositrici di qualsivoglia
inclinazione ecologista.
Così’,
sta prendendo piede, con un protagonismo italo-francese, cui ho
accennato sopra,
una
rinascita dell’atomo, oltre alla ostinata permanenza del metano. In
definitiva: qualsiasi
soluzione,
purché, in una penisola ricca di sole, di bacini di stoccaggio e di
vento che spira
sui
mari che la contornano, si lasci a languire la possibile
riconversione della seconda
manifattura
d’Europa verso il sistema delle energie rinnovabili.
Vale
la pena a questo punto di inquadrare lo sviluppo (quasi sottotraccia)
di questa nuova
tecnologia
– i piccoli reattori modulari - che ha tutta l’apparenza di una
chiamata alle armi.
Mentre
si vorrebbe che l’intelligenza artificiale generativa (IA)
diventasse la vera figlia
dell’umanità
atta a risolvere ogni sorta di problemi, ci si rende conto che se ne
può fruire
solo
al prezzo di un enorme consumo di elettricità, possibilmente a
ridotte emissioni di gas
climalteranti.
Solo così non ci sarebbe collisione tra aumento dei consumi e
peggioramento
del clima. E qui spunta l’illusione del nucleare di piccola taglia,
con ridotte
emissioni
di CO 2 .
Di
conseguenza, sotto il profilo delle emissioni, lo sviluppo dell’IA
meglio si attaglierebbe
alla
proliferazione di reattori minori (attorno ai 400 MW) che
assicurerebbero la fornitura di
elettricità
24 ore su 24 e 7 giorni su 7 agli innumerevoli data center in cui
vengono
conservati
i cloud con i big data ed alimentati i chip di ultimissima
generazione. I consumi
di
energia per l’IA sono stati finora trascurati, ma l’aumento medio
per l’elaborazione e il
raffreddamento
dei sistemi ad apprendimento automatico è valutato dell’ordine del
+ 43%
rispetto
agli analoghi sistemi di computazione tradizionale. Ad oggi si stima
che i data
center
consumino tra l’1 e il 2% dell’elettricità mondiale, ma
l'ascesa di strumenti come
ChatGPT
innesca già previsioni di un consumo elettrico globale che potrebbe
aumentare
di
cinque volte.
Nel
panorama attuale L’intelligenza Artificiale è considerata la
strategia decisiva per la
quarta
rivoluzione industriale e per la potenza delle forze armate. I data
center delle
compagnie
di informatica potrebbero quindi diventare un segmento di mercato
significativo
a
livello globale per gli Smr nei prossimi decenni e, non a caso, sono
oggetto di ricerca e
di
prototipizzazione da parte anche delle imprese leader
dell’informatica proprietaria, in
particolar
modo negli Usa, in Inghilterra, Belgio, Taiwan e Giappone.
Ma
i problemi si rivelano ben più ardui da superare, a partire da una
diffusione pervasiva
di
scorie nucleari sul territorio. Analogamente a quanto è avvenuto nel
settore chimico,
dovremmo
fare i conti con un controllo altrettanto capillare, ma con una
variante di
tossicità
e di militarizzazione impressionanti. Peraltro, in uno studio della
Stanford
University
intitolato “Nuclear waste from small modular reactors”, si rivela
che i progetti
Smr,
comparati con i Pwr a scala di Gigawatt, aumenteranno i volumi
equivalenti dei rifiuti
nucleari,
che necessitano di gestione e smaltimento. Addirittura con il volume
dei rifiuti ad
alta
attività che aumenterà di un fattore 30. E poiché le proprietà
del flusso di rifiuti sono
influenzate
dalla fuoriuscita di neutroni dal nocciolo ridotto, gli Smr
aggraveranno anche le
problematiche
legate allo smaltimento degli impianti a fine corsa.
10
IA
+ Smr, quindi. L’ennesima formula per mantenere la crescita
competitiva e, perlopiù,
nelle
mani di pochi. Che ne sarà del clima, della democrazia e della
giustizia sociale, alla
base,
altresì, di uno sviluppo cooperativo e integrato nella biosfera come
quello sostenuto
dalle
comunità energetiche?
Il
Green Deal all’appuntamento delle elezioni europee
Prima
lo hanno smantellato dal regolamento sui pesticidi fino alla
direttiva sulla qualità
dell’aria.
Ora si fa di più. Perché lo stravolgimento di quello che fu il
Green Deal europeo,
viene
assimilato da un programma elettorale. Quello del Partito popolare
europeo in vista
delle
prossime elezioni. Il documento è la cancellazione delle promesse
fatte da Ursula
von
der Leyen, che però verrà ricandidata. Si tratta dell’evidente
tentativo del Ppe di
recuperare
voti promettendo normative più permissive sull’ambiente. Il
rallentamento, fin
quasi
al suo smantellamento, è iniziato da tempo e per lo più si è
svolto in silenzio. Già
Emmanuel
Macron aveva per primo chiesto una pausa normativa, fino a ottenere,
con il
consenso
della Commissione, ulteriori battute d’arresto e ad arretrare
sistematicamente.
Sulla
sostenibilità Bruxelles ha mollato la presa man mano che si
avvicinavano le elezioni
europee.
Proviamo a procedere per punti 11 .
Il
pacchetto definito “Farm to Fork” è stato modificato dai sistemi
alimentari sostenibili alle
etichettature
di sostenibilità. Si è posto lo stop alla proposta di regolamento
sull’uso
sostenibile
dei pesticidi chimici in agricoltura, anche conosciuto come “Sur”,
che indicava
ai
Paesi membri di identificare alternative ecologiche.
L’obbligo
di lasciare a riposo il 4% dei campi per accedere ai fondi europei è
stato
sostituito
con la possibilità che si possano coltivare piselli, fave o
lenticchie o comunque
colture
a crescita rapida.
Negli
obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti al 2050 è
scomparsa la riduzione del
30%
entro il 2040 dei gas serra agricoli (rispetto ai livelli del 2015).
Gli obiettivi del 2030
vengono
spostati al 2040.
Nuove
norme al ribasso sono state introdotte per ridurre le emissioni del
trasporto stradale
di
autovetture, furgoni, autobus, camion e rimorchi. E’ stata
modificata la proposta iniziale
sul
regolamento “Euro 7”, concordando di mantenere le attuali
condizioni di prova Euro 6 e
i
limiti sulle emissioni di scarico per auto e furgoni.
Il
regolamento sugli imballaggi è stato fortemente annacquato su
pressione delle lobbies di
plastica
e carta
Sono
stati inseriti nella cosiddetta “tassonomia”, quindi considerati
“investimenti
sostenibili”,
due settori assai controversi: il gas e il nucleare (in forma di
mini-reattori) e si è
data
via libera allo sviluppo della tecnologia Ccs (cattura e sequestro di
CO 2 )
Il
raggiungimento per gli edifici residenziali almeno della classe
energetica E entro il 2030,
e
della D entro il 2033 è affidato ai singoli Paesi membri, con
l’obiettivo, ancora
contrastato,
di arrivare nel 2050 a emissioni zero.
È
stata infine rimandata a tempo indeterminato la direttiva dell’Unione
europea sul dovere
di
diligenza in materia di sostenibilità aziendale, che riguardava i
temi ambientali, il
cambiamento
climatico e i diritti umani.
11
Vedi Virginia Della Sala in il Fatto Quotidiano 19 Febbraio 2024
11
E’
in atto una svolta dell’opinione pubblica sul clima?
Un’evoluzione
profonda si è verificata nelle idee delle persone che a vari titoli
si occupano
del
clima e su come interpretare e di conseguenza gestire il fenomeno.
Partiamo
dagli attivisti. Mentre la prima generazione di fine anni Ottanta era
convinta che
il
problema si potesse risolvere in maniera razionale: i paesi
industrializzati avrebbero
capito
il problema, gli scienziati avrebbero proposto la soluzione, i
governi avrebbero
concordato
e poi implementato un accordo simile a quello di Montréal sul buco
dell’ozono,
man
mano che gli studiosi della trasformazione energetica, i decisori nei
vari ambiti e i
cittadini
hanno capito che non si trattava di eliminare qualche gas nocivo per
l’atmosfera
dalle
bombolette spray, lo scenario si è fatto più complicato. Si
trattava, in effetti, di un
profondo
stravolgimento strutturale, tecnologico, economico, sociale e
culturale,
condensato
nella sfida di uscire dal fossile in tutto il mondo. Il che, avrebbe
coinvolto le
forme
di produzione e di vita in tutte le loro articolazioni.
Salvare
il clima e, ancora di più, l’adattamento al caos climatico, sono
diventate
consapevolmente
anche questioni di giustizia climatica, di gender, di lotta contro
l’imperialismo
e il capitalismo divoratore, di coltivare la pace. In fondo, chi
parla del clima
non
può tacere sulle grandi ingiustizie del mondo che, ancora più nel
Sud che nel Nord, si
sta
aggravando. Questa conseguenzialità, secondo Karl Schibel 12 ,
potrebbe però
indebolire
la lotta all’emergenza climatica, dato che “è vero che i
cambiamenti climatici
colpiscono
dapprima e più intensamente il Sud del mondo e i poveri nel Nord, ma
è anche
vero
che gli impatti del riscaldamento globale, più prima che poi,
mandano in fiamme
anche
le ville al Lake Tahoe in California”. E, dato che il caos
climatico è una minaccia
esistenziale
per tutta l’umanità, andrebbero messe da parte illusioni
messianiche di volere
eliminare
al contempo tutti i mali che affliggono questo mondo.
Contro
l’ingiustizia climatica e contro la guerra
Non
credo che si possano separare le lotte che riguardano
contemporaneamente clima,
guerra
nucleare e ingiustizia climatica. In questo senso è esemplare il
messaggio e la
comprensione
della Laudato Sì che Bergoglio ha diffuso quasi dieci anni fa. E non
può
essere
un caso che le destre di ogni parte del Pianeta siano sia
negazioniste che
repressive
nei confronti degli attivisti climatici che vengono definiti
“ecoterroristi”. Basta
riflettere
in una prospettiva non settoriale per rendersi conto di come l’onda
lunga della
repressione
del cd. ecoterrorismo sia arrivata anche in Europa.
I
difensori dei diritti umani, secondo la definizione contenuta nella
Dichiarazione delle
Nazioni
Unite, sono anche tutti coloro che, a titolo individuale o
collettivo, si impegnano
per
il rispetto dei diritti dell’ambiente attraverso pratiche
nonviolente. Il fatto che in Italia il
governo
Meloni abbia fatto approvare un disegno di legge ad hoc che
inasprisce le pene
pecuniarie
e di detenzione per attivisti ed attiviste che svolgono azioni
dirette nonviolente
in
musei, o verso i monumenti, rende conto di come le azioni della
destra si muovano
intenzionalmente
per scoraggiare chi tutela e promuove diritti climatici, ormai del
tutto
inscindibili
dai diritti umani. “Secondo l’art. 21 dell’Onu e in base alla
convenzione europea
12
Vedi Karl Shibel https://www.qualenergia.it/articoli/
12
sottoscritta
ad Aarhus, lo Stato ha l’obbligo di rispettare e proteggere il
diritto di impegnarsi
nella
disobbedienza civile pacifica, indipendentemente dal fatto che
avvenga all’aperto, al
chiuso,
online o in spazi pubblici o privati” 13 .
Non
stupisce pertanto che il relatore speciale Onu per i difensori
dell’ambiente stia
seguendo
con grande preoccupazione ed attenzione la situazione in Italia (come
nel caso
del
decreto “ecovandali”) ed in altri paesi europei, anche quando
essa è gestita come
disincentivo
ad agire, pregiudicando il diritto alla libertà di associazione.
La
torsione repressiva contro attivisti che usano modalità di
disobbedienza civile pacifica,
l’inasprimento
delle pene comminato con provvedimenti recentissimi, il regresso
dell’ispirazione
non mediabile del Green Deal europeo, danno ragione – a mio parere
–
alle
forze che rappresentano l’orizzonte dell’umanità minacciato da
un intreccio di
emergenze
esiziali, tutte legate allo scarto tra mancanza di controllo sociale
delle nuove
tecnologie,
riduzione degli spazi democratici e un antropocentrismo duro a
morire. Per il
progresso,
inteso senza principio di precauzione non c’è cura. Ho la
sensazione che
questa
percezione di separazione tra la vita umana e quella dell’ambiente
stia penetrando
ad
un livello popolare ancora inespresso politicamente, ma
potenzialmente maggioritario,
nonostante
ogni sorta di deviazione a cui il mainstream si presta alacremente.
Diventerà
sempre più stringente una correlazione tra il rispetto del diritto a
difendere
l’ambiente
e la salute pubblica, del diritto a mobilitarsi per contribuire
all’adozione di
effettive
ed efficaci politiche di contrasto ai cambiamenti climatici e la
battaglia per la pace
e
la giustizia sociale su scala globale.
Da
questo punto di vista credo siano di grande interesse i segni di
risveglio del continente
africano.
Si è svolto l’estate scorsa un importante convegno dell’Africa
Investment Forum
(Aif),
in cui dodici nazioni prendevano atto che l'Africa è ricca
di minerali strategici, tra cui
le
terre rare, litio, grafite, bauxite, manganese e cobalto, tutti
essenziali per le tecnologie
moderne.
E che per sfruttare il valore di questi minerali sono necessari
investimenti in
infrastrutture,
innovazione e pratiche sostenibili in loco e lo sviluppo del tessuto
industriale
locale.
La richiesta impellente, che equivale ad un programma, è quella per
cui i minerali
strategici
dell'Africa debbano essere lavorati prima di essere
esportati, al fine di creare
catene
del valore e posti di lavoro per le popolazioni locali. Siamo di
fronte a qualcosa di
molto
più potente della stessa rivolta anticoloniale: l’Africa, per
salvare il clima, vuole
rendersi
autonoma e protagonista sulle tecnologie.
Per
concludere, credo sia in atto una trasformazione epocale entro cui,
da parte dei poteri
dominanti,
si applica su scala globale ogni sforzo per impedire un governo dei
processi a
democrazia
sociale. Per quanto riguarda il nodo determinante dell’energia, il
modo più
economico
di produrre oggi è a partire dal sole e dal vento. Ci si può
permettere quindi di
pensare
ad un mondo che si basi sull’abbassamento della curva della domanda
e sul
100%
di offerta da energia rinnovabile. Una trasformazione che può
partire subito e
dovunque,
anche programmando e progredendo per gradi e successive correzioni,
invece
che
attendere decenni. Non attendere e lottare per la pace, la giustizia
climatica e sociale
è
il fondamento indispensabile di un programma della sinistra di
alternativa.
Per tenervi informati su Mario Agostinelli:
https://www.marioagostinelli.it/
13
Vedi Francesco Martone:
https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/03/06/