Energia, crescita, fossili: un mito in discussione.
Dall
DallaUn contributo di Mario Agostinelli, Presidente dell'Associazioni Energia Felice e Laudato Si'
pecr comprendere la posta in gioco della COP 29 di Baku.
uzione industriale è particolarmente significativo traguardare lo stato del mondo
in cui viviamo anche attraverso una lente particolarmente ricca di indicazioni e foriera di
deduzioni: la lente dell’energia. Un occhiale molto pervasivo e assai potente, che mette a
fuoco il rapporto tra umanità e natura nelle sue articolazioni spaziali e temporali,
dispensatore di spunti che segnalano le decisioni più improvvide, le diseconomie più
nascoste, le pressioni sull’opinione pubblica, gli annunci di novità tecnologiche di là da
venire, nell’intenzione, spesso, di mantenere il Pianeta in uno stato di perenne transizione,
senza uno sbocco definitivo dalla geopolitica alla biosfera.
Eppure, si sono esplicitati in più occasioni tentativi di grandi pensatori di rimettere al centro
non la materia inanimata, ma la vita. Non solo nei tempi passati, ma anche nel pieno delle
rivoluzioni scientifiche più recenti. Varrebbe la pena ricordare come Erwin Schroedinger
già nel secolo scorso avesse cercato di rendere ragione degli eventi spazio-temporali che
si verificano entro i limiti spaziali di un organismo vivente, precisando formulazioni sulla
natura fisica dei geni, fatte dieci anni prima della scoperta della struttura a doppia elica del
Dna. Egli affrontava con coraggio un apparente paradosso: che il gene fosse
rappresentato da un numero molto ridotto di atomi “materiali”, che mantengono in modo
stabile l’informazione ereditaria attraverso le generazioni lungo i secoli. In sostanza, già la
quantistica apriva la strada a unificare mondo materiale e vita e, quindi, a rivalutare i
processi energetici compatibili non solo con la trasformazione dell’ambiente artificiale, ma
come interagenti tutt’altro che passivi nella trasmissione della vita, dell’evoluzione, della
sopravvivenza. Successivamente e per un lungo periodo, la fisica si è staccata dalla
biologia e si è impegnata nell’espansione della potenza distruttiva della fissione o della
fusione atomica, perdendo di vista la continuità tra la densità energetica utile alla
distruzione e quella molto più cruciale indispensabile alla sopravvivenza.
In questo più recente quadro i conflitti armati, la crescita dell’ingiustizia sociale,
l’arretramento della democrazia, la sottovalutazione della spesa pubblica per arginare la
crisi climatica, ereditano il pericoloso lascito della razionalità geopolitica sbocciata dopo la
fine della Seconda guerra mondiale, che aveva creato grandi drammi ad Einstein e perfino
ad Oppenheimer, ma non certo ai governanti anglo-americani e sovietici in competizione di
potenza.
La proliferazione del nucleare e la diffusione dell’Intelligenza Artificiale
Ad ora, purtroppo, la proliferazione dell’ordigno termonucleare e l’accelerata diffusione
della Intelligenza Artificiale (IA) caratterizzano e mettono a fuoco il passaggio ad un’era in
cui la sopravvivenza biologica del vivente e il libero arbitrio dell’umano vengono
nuovamente posti a rischio dalla disponibilità di enormi densità energetiche, create
artificialmente in funzione di un potere incontrollabile e divorante, oscurando quanto
avvenuto ad Hiroshima e Nagasaki ed in contrapposizione con i processi di energia
minima che caratterizzano il mondo naturale. Un sistema, quello naturale, che si
autoriproduce e si conserva, generazione dopo generazione da milioni di anni.
l ri
vol
2
In continuità con le sfide che l’umanità dai primi del secolo scorso aveva affrontato e
indagato con le bizzarrie del comportamento dell’infinitamente piccolo (particelle
subatomiche sottoposte a campi di forza prima inimmaginabili), ora ci si sta spingendo a
scoprire come l’applicazione del calcolo a numeri immensamente grandi di dati (la
sostanza dell’Intelligenza Artificiale) possa costituire una risorsa per l’automazione dei
processi produttivi, la riparazione di quelli biologici e, soprattutto, la previsione dei
comportamenti politici e sociali futuri di contendenti in competizione, anziché in
cooperazione. La matematizzazione del contenuto dell’universo intero è un tentativo
pericolosamente in atto, in cui spazio, tempo e causalità sarebbero modellati da algoritmi
potentissimi che operano su data center stipatissimi, con un impiego incalcolabile di
energia elettrica di alimentazione e con la presunzione di descrivere e gestire la
permanenza - ovvero la rappresentazione stabile - degli oggetti sotto osservazione e
controllo continuo.
L’attuale passaggio d’era – se non monitorato o, addirittura in alcuni aspetti neutralizzato -
richiederebbero un tale dispendio energetico da avvicinarci al collasso della biosfera.
Benjamin Labatut, un divulgatore scientifico molto apprezzato, raccomanda “di prestare
attenzione a come da fine del secolo scorso si sia oltrepassato un confine: come se un
genio si fosse annidato nelle scienze e le generazioni future non fossero più riuscite a
rimetterlo dentro”. 1 Senza arrivare al suo allarmismo, dobbiamo tuttavia registrare come la
turbolenza politica ed economica torna a dilaniare L’Europa, il Medio Oriente e non solo,
mentre i blocchi contrapposti tornano ad affidare a tecnologie ad altissima intensità
energetica le sorti dei loro conflitti. Intanto – direi troppo sommessamente - le popolazioni
mondiali svoltano verso le fonti rinnovabili ed a potenza regolabile e diffusa, mentre guerre
e – come vedremo più avanti – l’IA, premono per la procrastinazione del tempo dei fossili e
del nucleare, oscurando la prospettiva di pace al fondo di quella democrazia sociale che
aveva trovato nell’Onu e nelle costituzioni postfasciste un terreno di possibile
realizzazione.
2023: un anno sismico per il clima
Secondo il Global Carbon Budget 2023, elaborato dall’Università di Exeter nel Regno
Unito, quest’anno le emissioni di CO 2 sono aumentate dell’1,1% rispetto al 2022 e
dell’1,4% sul 2019, anno di prepandemia. 2 A quasi dieci anni dalla Cop 21 di Parigi (2015),
non arriviamo ancora a tagliare significativamente l’inquinamento legato al consumo di
combustibili fossili (petrolio, gas naturale e carbone).
Eppure, nuovi segnali provenivano dall’anno del Covid 19. Invece, negli anni seguenti e
pur in un quadro di produzione industriale più debole, un’estesa siccità e il precipitare delle
guerre hanno in parte attenuato l’effetto combinato di una più larga diffusione delle energie
rinnovabili e di una consistente fuoriuscita dal carbone e dal gas. Per la prima volta,
almeno metà della produzione di elettricità nelle economie avanzate è arrivata da fonti a
basse emissioni, sottoponendo gli incerti passi verso la transizione all’energia pulita ad
una serie di stress test che ne hanno dimostrato la resilienza. Un avanzamento ancora
insufficiente e contrastato, che non basta affatto, anzi!
1 Benjamin Labatut Maniac, Adelphi, Milano 2023, pp. 361
2 https://essd.copernicus.org/articles/15/5301/2023/
3
Novanta istituzioni di tutto il mondo, tenendo conto anche delle emissioni provenienti
dall’azione umana di deforestazione in diverse aree, concordano nel notificare entro la fine
del 2023 una quantità totale di CO 2 immessa in atmosfera pari a 42 miliardi di tonnellate.
Una cifra che comporta il raggiungimento di 419,3 parti per milione (ppm) di CO 2 in
atmosfera, equivalente al 51% in più rispetto ai livelli preindustriali.
Lo stesso documento ha registrato anche i dettagli di questo innalzamento: l’anno appena
trascorso conteggia un incremento delle emissioni di CO 2 dovute al petrolio del +1,5%; al
carbone del +1,1%; al gas naturale del +0,5%. Anche se, per quanto riguarda grandi
emettitori pro-capite, come Stati Uniti ed Unione europea, il 2023 segnala, rispettivamente,
un -3% e un -7,4%: ma non ci possiamo consolare, perché alla Cop di Parigi la loro quota
di riduzione era prevista almeno tre volte tanto.
Con il bilancio dell’anno appena terminato, la Terra è sicuramente destinata a superare la
soglia di 1,5 °C all'inizio del 2030, anziché a fine secolo. Siamo, in definitiva, di fronte ad
un autentico evento sismico per il clima, che obbligherà ad affrontare sfide e costi ancora
maggiori nel prossimo decennio.
Prevenire ogni ulteriore aumento del riscaldamento è quindi decisivo qui ed ora: per le
persone e la natura. Più le temperature aumentano, più bruschi saranno gli impatti dei
cambiamenti climatici e più alto sarà il rischio di punti critici (tipping points 3 ) e di
conseguenze irreversibili sugli ecosistemi, nonché sulle vite ed i mezzi di sussistenza delle
persone.
Risulta quindi fondamentale raggiungere il picco delle emissioni globali di gas serra non
più in là del prossimo anno, per poi ridurle di almeno il 43% entro il 2030. Ma per
un’azione siffatta, in grado di trasformare le economie, i sistemi energetici ed alimentari,
nonché di proteggere e ripristinare la natura – perché di tanto si tratta - occorre adottare
una velocità ed una scala dimensionale senza precedenti. Una velocità ed una scala non
certo a portata di mano, perché ostacolate senza sufficiente reazione da un negazionismo
duro a recedere ed addirittura esplicitato ai più alti livelli alla ultima Cop28 di Dubai.
Ci avviciniamo così a quello che si può definire un sisma climatico, partendo da una
situazione tutt’altro che favorevole, in cui la diffusione ancora insufficiente dell’energia
pulita rimane eccessivamente concentrata nelle economie avanzate e in Cina, indicando
pertanto una necessità di maggiori sforzi internazionali e la più pressante sollecitazione
per l’autorizzazione di nuovi impianti da fonti rinnovabili, che invece vengono ritardati
colpevolmente, come accade ormai di norma nel nostro Paese.
Il complesso tema dell’agricoltura
Intanto, sta emergendo con decisione la questione controversa e sottovalutata dell’impatto
dell’agricoltura sul clima. Da questo punto di vista, la cancellazione degli obiettivi di
riduzione dei concimi che provocano gas climalteranti e il ritiro del Regolamento Sur 4 per
la riduzione dell’uso dei pesticidi da parte della Commissione europea costituiscono un
grave colpo alle strategie del Green Deal, alla tutela dell’ambiente e della salute dei
cittadini. La siccità sia diventando un fenomeno permanente, insieme alle piogge erratiche,
e la fertilità dei suoli agricoli sta scomparendo. “Fateci produrre senza condizionamenti”
3 https://www.reteclima.it/tipping-points-ambientali-e-riscaldamento-climatico/
4 Regolamento sull'Uso Sostenibile (Sur), che mirava a ridurre l'uso di agrofarmaci entro il 2030
4
sembrava la parola d’ordine della “rivolta dei trattori”, ma se le politiche pubbliche
continueranno a sostenere il modello industriale, quello che mette a disposizione
dell'industria agroalimentare materie prime a basso costo per rendere competitivo il made
in Italy, allora le risorse andranno a beneficio di chi diventa competitivo tagliando la
componente del costo di produzione più flessibile: il costo del lavoro.
Va messo in rilievo che la sola agricoltura a livello globale contribuisce al 22% delle
emissioni dei gas climalteranti (il 9% a livello di Unione europea e il 7% a livello italiano).
Se calcoliamo tutte le emissioni dell’intera filiera agro-alimentare, il contributo stimato a
livello globale può arrivare al 37%. In Europa e in Italia, l’agricoltura è la principale causa
di perdita degli habitat naturali e delle specie selvatiche: si stima che negli ultimi 30 anni si
sia perso il 70% della biomassa di insetti volatori, la maggior parte impollinatori, che
garantiscono l’80% della produzione agricola. 5
In Italia nel 2021 sono stati venduti oltre 50 milioni di kg. di sostanze chimiche per
l'agricoltura, e il nostro Paese si colloca al terzo posto in Europa, dopo Spagna e Francia,
per vendita di prodotti fitosanitari. Gli effetti del cambiamento climatico e della perdita di
biodiversità stanno già causando impatti devastanti sui raccolti ed i mezzi di sussistenza in
tutto il mondo, dove la dipendenza dai combustibili fossili si mantiene decisiva, in quanto
l’attività agricola è diventata incredibilmente efficiente utilizzando grandi attrezzature
meccaniche, di solito alimentate a diesel, insieme a una serie di prodotti chimici, tra cui
erbicidi, insetticidi e fertilizzanti. Abbandonare l’agricoltura delle multinazionali
significherebbe che gli agricoltori dei paesi ricchi vivrebbero usando pochissimi
combustibili fossili, o che le loro popolazioni contadine si assimilerebbero alle popolazioni
indigene e contadine dell’America Latina, dove il tempo di lavoro è principalmente
dedicato alla cura della terra. Uno scenario oggi inimmaginabile, ma in prospettiva
necessario, se collocato nella società minacciata dal clima. Le aziende contadine escluse
dai fondi della politica agricola comune o dai fondi aggiuntivi del Pnrr, ma che hanno
avviato la transizione ecologica, sono passate al biologico da trent'anni, hanno inventato i
mercati contadini, l'agriturismo, la conservazione della biodiversità, hanno condotto la
battaglia per liberare l'agricoltura dagli Ogm: eppure non hanno rappresentanza
istituzionale.
Il greenwashing nasconde abilmente la quota fossile
La transizione energetica sta cambiando radicalmente il modo in cui operano le
compagnie petrolifere e del gas; con il calo della domanda di combustibili fossili, i
tradizionali segmenti di business di idrocarburi diventerebbero rapidamente obsoleti.
Ma poiché il capitalismo è profondamente dipendente dai fossili e dato che gli Stati Uniti,
in quanto nucleo centrale, sono intrinsecamente dipendenti dal petrolio e dal gas di cui
non possono e non vogliono sbarazzarsi, è in atto una grandiosa opera di mascheramento
- di greenwashing - lungo tutto l’arco dei processi che arrivano dal pozzo di estrazione fino
alla vendita del combustibile finale sul mercato.
L’esperta di energia Gail Tverberg sostiene che l’attuale sistema si basa ancora sui
combustibili fossili, che vengono utilizzati in ogni genere di attività, da Internet alla
5 Vedi WWF Italia
5
produzione di pannelli solari, dalla costruzione di edifici all’estrazione di materie prime e al
trasporto di merci e che il loro contributo viene virtualmente sottratto all’attenzione
rendendo seducenti le caratteristiche dei prodotti finali immessi sul mercato (auto
semiautomatiche, telefonini multifunzione, elettrodomestici controllabili a distanza etc.)
anziché sull’intero ciclo di vita degli stessi. Un percorso, quest’ultimo, che incorpora
impunemente una quota assai rilevante di combustioni di materiali fossili inquinanti.
Insomma, del petrolio non ci possiamo liberare perché desideriamo merci che ne
incorporano inevitabilmente le proprietà nel percorso di produzione e, talvolta, come nel
caso della mobilità, direttamente all’atto di funzionamento. Quanto petrolio c’è, ad
esempio, nella bottiglia della più virtuosa delle acque minerali?
Questa è forse la forma più insidiosa di greenwashing, più sottile e meno rilevabile di
quella tradizionale di sequestrare la CO 2 sottoterra o di immettere idrometano nelle
condotte predisposte per il gas.
Jean Baptiste Fressoz, intervistato da il manifesto 6 in relazione a un suo recente saggio
che ha fatto molto discutere in Francia, ma di cui non vi è ancora la traduzione in italiano,
invita ad abbandonare la retorica sui temi energetici in quanto “le varie fonti sono in
simbiosi fra loro” e nessuna fonte nella storia è diventata realmente sostitutiva di quella
precedente, che continuerebbe in valore assoluto a mantenersi sui livelli passati, se non
altro per portare a compimento la costruzione degli impianti che funzionano con le nuove
fonti sostitutive. Anche questa affermazione è, a mio avviso, un’operazione che fa comodo
all’industria ed ai governi che rigettano la conversione ecologica, perché così possono fare
credere e accettare che la crisi climatica possa o debba avvenire prima della transizione
alle fonti sostitutive necessarie per evitarla, e, di conseguenza, si possa continuare per
inerzia a non rivoluzionare il paradigma energetico dalle fondamenta, in attesa magari di
nuove mirabolanti tecnologie di là da venire e tali che risolvano il problema senza un
abbandono strutturale del sistema capitalistico e della crescita che ci hanno condotto al
punto attuale.
C’è da chiedersi perché ci si riserbi, anche a sinistra, una certa esitazione per quanto
riguarda la conversione energetica: la più profonda, con l’impiego solo delle energie
rinnovabili ed un radicale contenimento dei consumi. La ragione sta anche nel fatto che
parte del potere del sistema oggi risiede nella promozione di un ecologismo che non mette
in discussione il capitalismo e crede in una tecnologia progressista, come vengono definite
sia la versione del nucleare di nuova generazione, che la fusione, o, ancora, la cattura in
atmosfera o sottoterra degli inquinanti in eccesso.
I nuovi ostacoli alla conversione: la crescita dello shale gas
Ovviamente, non va per la maggiore solo il greenwashing, ma ci sono ben altre frecce a
disposizione dei negazionisti e degli avversari alla conversione energetica. ReCommon
documenta alcune palesi contraddizioni: la Bp si è impegnata a ridurre le emissioni
derivanti dalla produzione e dall’uso dei suoi prodotti del 35-40% entro il 2030, ma il 30%
del pacchetto retributivo totale dei suoi dirigenti viene determinato da obiettivi che
6 Andrea Capocci “La transizione che non c’è”, intervista a Jean Baptiste Fressoz in il manifesto del 27
febbraio; il saggio cui si riferisce l’intervista è Jean Baptiste Fressoz Sans transition. Une nouvelle histoire de
l’energie, Seuil, Parigi 2024
6
incentivano direttamente o indirettamente la crescita della produzione. E, per non rimanere
all’asciutto, Eni, Total-Energies e Repsol hanno promesso tagli del 30-35% entro il 2030,
mentre i loro obiettivi di crescita presentati nei piani industriali pluriennali determinano,
rispettivamente, il 18%, 15% e 12% di aumento della estrazione di gas.
Anziché incentivi di crescita delle retribuzioni dei manager, offerti spesso sotto mentite
spoglie, gli azionisti dovrebbero chiedere incentivi che diano priorità al valore, rispetto alla
crescita dei volumi di petrolio e gas. Proteggerebbero così i loro investimenti, mentre
prende avvio un’autentica conversione energetica, che sta già premiando a breve e nel
lungo periodo il mercato dei green bonds.
Global Vision Market 7 ha pubblicato una ricerca sul mercato di gas da scisto tra il 2023 e il
2030. Un mercato che supera i principali segmenti di business in atto ed evidenzia aree
geografiche di livello assai più ampio e distribuite in tutti i continenti. Il rapporto, che
fornisce dettagli utili sullo stato attuale e sull’espansione futura prevista del settore, utilizza
sia approcci primari che secondari alla raccolta dei dati.
Considerando attentamente fattori economici, sociali, ambientali, tecnologici e politici
vengono fornite indicazioni sulle entrate e sulle vendite per ogni regione e paese, raccolti
attraverso una ricerca completa dal Nord America (Stati Uniti, Canada, Messico),
all’Europa (Germania, Regno Unito, Francia, Italia, Russia, Spagna, Resto d’Europa),
all’Asia-Pacifico (Cina, India, Giappone, Singapore, Australia, Nuova Zelanda), al Sud
America (Brasile, Argentina), al Medio Oriente e all’Africa (Turchia, Arabia Saudita, Iran,
Emirati Arabi Uniti, Africa, Resto del Mea). Da questo report si deduce che in futuro lo
shale gas sarà un temibile concorrente su scala planetaria, indipendentemente
dall’impatto ambientale terrificante già registrato negli Stati Uniti ed in Canada. Una
mappatura così ampia tiene conto esplicitamente non solo dell’instabilità del mondo
attuale, bensì anche della possibilità che i vari segmenti di mercato vengano influenzati da
probabili pandemie o da scontri armati.
La ricerca rivela che l’Europa è diventata il principale mercato di esportazione per
l’industria statunitense del Gnl da scisto. Si sottolinea anche che il continente era così
preparato per questa stagione invernale rispetto alle precedenti, da aver indotto i Paesi
dell’Ue ad aumentare gli acquisti di gas naturale liquefatto da fornitori di shale gas da varie
regioni del pianeta, rifornendo in anticipo di carburante i loro impianti di stoccaggio e
consentendo così margini significativi di extraprofitti.
L’incognita dell’idrogeno
Molti operatori nella filiera del metano hanno sposato con entusiasmo le strategie
sull’idrogeno delle più grandi istituzioni mondiali: dall’Agenzia internazionale dell’energia
(Iea) al Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc) delle Nazioni Unite,
dall’Ue agli Usa. L’idrogeno verde è sicuramente una componente della transizione,
purché se ne valutino appieno le qualità. Sia sul piano dell’offerta, che dell’efficienza e
della domanda che dovrà soddisfare
A prescindere dall’applicazione specifica, l’uso dell’idrogeno come carburante o
combustibile è intrinsecamente poco efficiente perché richiede un doppio impiego di
7 https://www.gvmr.in/
7
energia: il primo per scindere le molecole di metano, carbone, petrolio o acqua in idrogeno
e il secondo per trasformare di nuovo l’idrogeno, così ottenuto, in energia termica tramite
caldaia o in energia elettrica tramite una turbina. Questi doppi processi provocano perdite
a ogni conversione, con un’efficienza energetica di andata e ritorno compresa fra il 18% e
il 46%, secondo la Ieefa 8 .
Risulta in ogni caso utile nella riduzione dei rottami e dei minerali ferrosi nei forni ad arco
per l’acciaio e nella produzione di ammoniaca per l’industria agricola e chimica. Occorre
inoltre ricordare che il 25% dell’idrogeno mondiale oggi è usato per la raffinazione del
petrolio in benzina e gasolio e si tratta nella quasi totalità di provenienza da metano:
quindi, non si tratta, per lo più, di idrogeno verde. Con la diffusione della mobilità elettrica,
buona parte di questa fonte di domanda per la raffinazione sparirà, sebbene sia in fase di
progresso il suo impiego nelle celle a combustibile sia per i treni che per i veicoli pesanti,
mentre per la propulsione navale ed aerea rimane il combustibile più interessante.
L’economia dell’idrogeno, nonostante la sua sostenibilità energetica climatica ambientale
ed economica sia sottoposta ad un esame approfondito, rimane indispensabile per alcuni
casi particolari di riconversione, ma ad oggi si procede con maggiore prudenza rispetto al
passato, dato che le sue potenzialità sull’intera catena del valore sono ancora da testare
per un contributo significativo e permanente.
Il ritorno del nucleare
A fronte della crisi del clima l'energia nucleare continua ad essere l'opzione più costosa e
lenta per raggiungere le emissioni zero nette. Nonostante ciò, a Dubai, con un accordo tra
22 Paesi, si è fatta strada l'idea di triplicare l'energia nucleare, con un invito agli azionisti
della Banca mondiale, alle istituzioni finanziarie internazionali e alle banche di sviluppo
regionale ad incoraggiare la sua inclusione nelle loro politiche di prestito. La Francia
continua ad essere capofila di un allargamento della quota di energia dipendente
dall’atomo, nonostante abbia dovuto ammettere che nel 2022, per la prima volta dopo oltre
40 anni, l’intero Paese era diventato un importatore netto di energia elettrica, a causa di
una produzione limitata del suo nutritissimo parco, messo in stallo dalle anomale ondate di
calore estive.
Sotto la spinta della leadership industriale legata ad Edf, la stessa Francia ha promosso in
sede europea un’iniziativa per aumentare la cooperazione industriale in campo atomico.
Ad essa hanno aderito altri dieci Stati membri: Bulgaria, Croazia, Ungheria, Finlandia,
Olanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia. In quell’occasione il
governo italiano si è mantenuto defilato, ma non ha perso l’occasione di riesumare a metà
2023 un dibattito spento da ben due referendum, presentando alla Camera una mozione
che impegna il governo “a partecipare attivamente, in sede europea e internazionale, a
ogni opportuna iniziativa, sia di carattere scientifico che promossa da organismi di natura
politica, volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari (IV generazione,
fusione nucleare) destinate alla produzione di energia per scopi civili” 9 . Un invito subito
raccolto con una lettera di intenti firmata da Edf, Edison, Ansaldo Energia e Ansaldo
8 https://www.linkedin.com/posts/arjun-flora
9 Vedi ItaliaOggi del 10 maggio 2023
8
nucleare “per collaborare allo sviluppo del nuovo nucleare in Europa e favorirne la
diffusione, in prospettiva anche in Italia”.
Se prima ritenevo questo improvviso ritorno di interesse un puro diversivo per posticipare
le autorizzazioni dei nuovi impianti a fonti rinnovabili, ora mi riferisco, con maggior
preoccupazione, a due fatti di rilievo.
Dapprima, una affermazione di Frank Bogovič (che ha sostituito Timmermans come
commissario Ue al clima) che ha esplicitamente sostenuto “l’affidabilità degli Smr (i piccoli
reattori modulari) per aumentare la produzione di energia in qualità di nodi di rete elettrica
a sostegno di solare e fotovoltaico, cui ha fatto eco il ministro italiano Pichetto Fratin
auspicando la realizzazione di partnership internazionali pubbliche e private per lo
sviluppo del nucleare di ultima generazione.
Successivamente, nel marzo del 2024, e con una caratura assai più pesante, è stata
approvata dalla maggioranza a Montecitorio una mozione che prevede una indagine
conoscitiva sui possibili vantaggi dell’energia nucleare, che potrà entrare in quota nel mix
energetico nazionale per raggiungere gli obbiettivi climatici. Significativo, al riguardo,
l’avvertimento dell’onorevole Luca Squeri di Forza Italia: “l'approvazione dell'indagine è lo
step per un'operazione che ha finalità ben precise: un confronto scevro da quelle pulsioni
ideologiche e quei pregiudizi che per troppi anni hanno condizionato il dibattito sul
nucleare” 10 . Ne ho già in parte trattato nel precedente numero di questa rivista, ma qui
vorrei mettere a fuoco una riflessione su quella che, sul sito web di Edf, viene definita “una
soluzione flessibile per diverse esigenze, non solo per la produzione di elettricità, ma
anche per l’energia termica (ad esempio per reti di teleriscaldamento) e per produrre
idrogeno”: in sostanza i piccoli reattori modulari (Smr).
Si è aperto quindi uno spiraglio ed individuata una rotta e sono gli Smr il vero centro di
attenzione. Il focus è sui piccoli reattori modulari Smr Nuward, riguardo i quali Edf e
Ansaldo nucleare - spiega una nota congiunta - hanno recentemente firmato un primo
contratto per la fornitura di studi di ingegneria per questo tipo di impianti, definiti
complementari allo sviluppo delle fonti rinnovabili e con possibili applicazioni anche per
alimentare distretti industriali a elevato consumo energetico.
Strano che questo riaccostamento all’atomo non abbia suscitato clamore, anche perché si
può intravvedere dietro ad esso una pericolosissima soluzione di sostegno alla grande
richiesta di elettricità dovuta ai consumi dei data center per l’Intelligenza Artificiale.
Smr e IA: l’ennesima formula per la crescita
Sulla transizione energetica il nostro governo procede per annunci, spesso contradditori e
quasi sempre proiettati in decenni successivi alle scadenze cui saremmo chiamati a
rispondere riducendo l’impatto climatico del nostro sistema. Sia che si trattasse della
fusione nucleare con cui imitare il sole, che del piano Mattei con cui ricolonizzare il sud del
Mediterraneo o, infine, dell’”hub europeo” creato per raccattare e sequestrare la CO2
emessa dai residui turbogas rimasti in Europa, non c’è proposta di politica energetica che
ci abbia riabilitati come diligenti esecutori del Green Deal Ue, o, nemmeno, di quello che
rimane dopo della svolta del Partito popolare europeo (Ppe).
10 Vedi Domani del 5 Marzo 2024
9
Di fatto, rientriamo volentieri nell’alveo della “ritirata” della Von der Leyen, timorosa di
essere danneggiata dalla “frenesia verde” (secondo la “grammatica” di Vox, Fpoe, Fidesz
e Afd) che l’aveva fatta conoscere come alfiere delle rinnovabili, invise alle destre europee
in crescita nei sondaggi e, insieme, oppositrici di qualsivoglia inclinazione ecologista.
Così’, sta prendendo piede, con un protagonismo italo-francese, cui ho accennato sopra,
una rinascita dell’atomo, oltre alla ostinata permanenza del metano. In definitiva: qualsiasi
soluzione, purché, in una penisola ricca di sole, di bacini di stoccaggio e di vento che spira
sui mari che la contornano, si lasci a languire la possibile riconversione della seconda
manifattura d’Europa verso il sistema delle energie rinnovabili.
Vale la pena a questo punto di inquadrare lo sviluppo (quasi sottotraccia) di questa nuova
tecnologia – i piccoli reattori modulari - che ha tutta l’apparenza di una chiamata alle armi.
Mentre si vorrebbe che l’intelligenza artificiale generativa (IA) diventasse la vera figlia
dell’umanità atta a risolvere ogni sorta di problemi, ci si rende conto che se ne può fruire
solo al prezzo di un enorme consumo di elettricità, possibilmente a ridotte emissioni di gas
climalteranti. Solo così non ci sarebbe collisione tra aumento dei consumi e
peggioramento del clima. E qui spunta l’illusione del nucleare di piccola taglia, con ridotte
emissioni di CO 2 .
Di conseguenza, sotto il profilo delle emissioni, lo sviluppo dell’IA meglio si attaglierebbe
alla proliferazione di reattori minori (attorno ai 400 MW) che assicurerebbero la fornitura di
elettricità 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 agli innumerevoli data center in cui vengono
conservati i cloud con i big data ed alimentati i chip di ultimissima generazione. I consumi
di energia per l’IA sono stati finora trascurati, ma l’aumento medio per l’elaborazione e il
raffreddamento dei sistemi ad apprendimento automatico è valutato dell’ordine del + 43%
rispetto agli analoghi sistemi di computazione tradizionale. Ad oggi si stima che i data
center consumino tra l’1 e il 2% dell’elettricità mondiale, ma l'ascesa di strumenti come
ChatGPT innesca già previsioni di un consumo elettrico globale che potrebbe aumentare
di cinque volte.
Nel panorama attuale L’intelligenza Artificiale è considerata la strategia decisiva per la
quarta rivoluzione industriale e per la potenza delle forze armate. I data center delle
compagnie di informatica potrebbero quindi diventare un segmento di mercato significativo
a livello globale per gli Smr nei prossimi decenni e, non a caso, sono oggetto di ricerca e
di prototipizzazione da parte anche delle imprese leader dell’informatica proprietaria, in
particolar modo negli Usa, in Inghilterra, Belgio, Taiwan e Giappone.
Ma i problemi si rivelano ben più ardui da superare, a partire da una diffusione pervasiva
di scorie nucleari sul territorio. Analogamente a quanto è avvenuto nel settore chimico,
dovremmo fare i conti con un controllo altrettanto capillare, ma con una variante di
tossicità e di militarizzazione impressionanti. Peraltro, in uno studio della Stanford
University intitolato “Nuclear waste from small modular reactors”, si rivela che i progetti
Smr, comparati con i Pwr a scala di Gigawatt, aumenteranno i volumi equivalenti dei rifiuti
nucleari, che necessitano di gestione e smaltimento. Addirittura con il volume dei rifiuti ad
alta attività che aumenterà di un fattore 30. E poiché le proprietà del flusso di rifiuti sono
influenzate dalla fuoriuscita di neutroni dal nocciolo ridotto, gli Smr aggraveranno anche le
problematiche legate allo smaltimento degli impianti a fine corsa.
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IA + Smr, quindi. L’ennesima formula per mantenere la crescita competitiva e, perlopiù,
nelle mani di pochi. Che ne sarà del clima, della democrazia e della giustizia sociale, alla
base, altresì, di uno sviluppo cooperativo e integrato nella biosfera come quello sostenuto
dalle comunità energetiche?
Il Green Deal all’appuntamento delle elezioni europee
Prima lo hanno smantellato dal regolamento sui pesticidi fino alla direttiva sulla qualità
dell’aria. Ora si fa di più. Perché lo stravolgimento di quello che fu il Green Deal europeo,
viene assimilato da un programma elettorale. Quello del Partito popolare europeo in vista
delle prossime elezioni. Il documento è la cancellazione delle promesse fatte da Ursula
von der Leyen, che però verrà ricandidata. Si tratta dell’evidente tentativo del Ppe di
recuperare voti promettendo normative più permissive sull’ambiente. Il rallentamento, fin
quasi al suo smantellamento, è iniziato da tempo e per lo più si è svolto in silenzio. Già
Emmanuel Macron aveva per primo chiesto una pausa normativa, fino a ottenere, con il
consenso della Commissione, ulteriori battute d’arresto e ad arretrare sistematicamente.
Sulla sostenibilità Bruxelles ha mollato la presa man mano che si avvicinavano le elezioni
europee. Proviamo a procedere per punti 11 .
Il pacchetto definito “Farm to Fork” è stato modificato dai sistemi alimentari sostenibili alle
etichettature di sostenibilità. Si è posto lo stop alla proposta di regolamento sull’uso
sostenibile dei pesticidi chimici in agricoltura, anche conosciuto come “Sur”, che indicava
ai Paesi membri di identificare alternative ecologiche.
L’obbligo di lasciare a riposo il 4% dei campi per accedere ai fondi europei è stato
sostituito con la possibilità che si possano coltivare piselli, fave o lenticchie o comunque
colture a crescita rapida.
Negli obiettivi di riduzione delle emissioni inquinanti al 2050 è scomparsa la riduzione del
30% entro il 2040 dei gas serra agricoli (rispetto ai livelli del 2015). Gli obiettivi del 2030
vengono spostati al 2040.
Nuove norme al ribasso sono state introdotte per ridurre le emissioni del trasporto stradale
di autovetture, furgoni, autobus, camion e rimorchi. E’ stata modificata la proposta iniziale
sul regolamento “Euro 7”, concordando di mantenere le attuali condizioni di prova Euro 6 e
i limiti sulle emissioni di scarico per auto e furgoni.
Il regolamento sugli imballaggi è stato fortemente annacquato su pressione delle lobbies di
plastica e carta
Sono stati inseriti nella cosiddetta “tassonomia”, quindi considerati “investimenti
sostenibili”, due settori assai controversi: il gas e il nucleare (in forma di mini-reattori) e si è
data via libera allo sviluppo della tecnologia Ccs (cattura e sequestro di CO 2 )
Il raggiungimento per gli edifici residenziali almeno della classe energetica E entro il 2030,
e della D entro il 2033 è affidato ai singoli Paesi membri, con l’obiettivo, ancora
contrastato, di arrivare nel 2050 a emissioni zero.
È stata infine rimandata a tempo indeterminato la direttiva dell’Unione europea sul dovere
di diligenza in materia di sostenibilità aziendale, che riguardava i temi ambientali, il
cambiamento climatico e i diritti umani.
11 Vedi Virginia Della Sala in il Fatto Quotidiano 19 Febbraio 2024
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E’ in atto una svolta dell’opinione pubblica sul clima?
Un’evoluzione profonda si è verificata nelle idee delle persone che a vari titoli si occupano
del clima e su come interpretare e di conseguenza gestire il fenomeno.
Partiamo dagli attivisti. Mentre la prima generazione di fine anni Ottanta era convinta che
il problema si potesse risolvere in maniera razionale: i paesi industrializzati avrebbero
capito il problema, gli scienziati avrebbero proposto la soluzione, i governi avrebbero
concordato e poi implementato un accordo simile a quello di Montréal sul buco dell’ozono,
man mano che gli studiosi della trasformazione energetica, i decisori nei vari ambiti e i
cittadini hanno capito che non si trattava di eliminare qualche gas nocivo per l’atmosfera
dalle bombolette spray, lo scenario si è fatto più complicato. Si trattava, in effetti, di un
profondo stravolgimento strutturale, tecnologico, economico, sociale e culturale,
condensato nella sfida di uscire dal fossile in tutto il mondo. Il che, avrebbe coinvolto le
forme di produzione e di vita in tutte le loro articolazioni.
Salvare il clima e, ancora di più, l’adattamento al caos climatico, sono diventate
consapevolmente anche questioni di giustizia climatica, di gender, di lotta contro
l’imperialismo e il capitalismo divoratore, di coltivare la pace. In fondo, chi parla del clima
non può tacere sulle grandi ingiustizie del mondo che, ancora più nel Sud che nel Nord, si
sta aggravando. Questa conseguenzialità, secondo Karl Schibel 12 , potrebbe però
indebolire la lotta all’emergenza climatica, dato che “è vero che i cambiamenti climatici
colpiscono dapprima e più intensamente il Sud del mondo e i poveri nel Nord, ma è anche
vero che gli impatti del riscaldamento globale, più prima che poi, mandano in fiamme
anche le ville al Lake Tahoe in California”. E, dato che il caos climatico è una minaccia
esistenziale per tutta l’umanità, andrebbero messe da parte illusioni messianiche di volere
eliminare al contempo tutti i mali che affliggono questo mondo.
Contro l’ingiustizia climatica e contro la guerra
Non credo che si possano separare le lotte che riguardano contemporaneamente clima,
guerra nucleare e ingiustizia climatica. In questo senso è esemplare il messaggio e la
comprensione della Laudato Sì che Bergoglio ha diffuso quasi dieci anni fa. E non può
essere un caso che le destre di ogni parte del Pianeta siano sia negazioniste che
repressive nei confronti degli attivisti climatici che vengono definiti “ecoterroristi”. Basta
riflettere in una prospettiva non settoriale per rendersi conto di come l’onda lunga della
repressione del cd. ecoterrorismo sia arrivata anche in Europa.
I difensori dei diritti umani, secondo la definizione contenuta nella Dichiarazione delle
Nazioni Unite, sono anche tutti coloro che, a titolo individuale o collettivo, si impegnano
per il rispetto dei diritti dell’ambiente attraverso pratiche nonviolente. Il fatto che in Italia il
governo Meloni abbia fatto approvare un disegno di legge ad hoc che inasprisce le pene
pecuniarie e di detenzione per attivisti ed attiviste che svolgono azioni dirette nonviolente
in musei, o verso i monumenti, rende conto di come le azioni della destra si muovano
intenzionalmente per scoraggiare chi tutela e promuove diritti climatici, ormai del tutto
inscindibili dai diritti umani. “Secondo l’art. 21 dell’Onu e in base alla convenzione europea
12 Vedi Karl Shibel https://www.qualenergia.it/articoli/
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sottoscritta ad Aarhus, lo Stato ha l’obbligo di rispettare e proteggere il diritto di impegnarsi
nella disobbedienza civile pacifica, indipendentemente dal fatto che avvenga all’aperto, al
chiuso, online o in spazi pubblici o privati” 13 .
Non stupisce pertanto che il relatore speciale Onu per i difensori dell’ambiente stia
seguendo con grande preoccupazione ed attenzione la situazione in Italia (come nel caso
del decreto “ecovandali”) ed in altri paesi europei, anche quando essa è gestita come
disincentivo ad agire, pregiudicando il diritto alla libertà di associazione.
La torsione repressiva contro attivisti che usano modalità di disobbedienza civile pacifica,
l’inasprimento delle pene comminato con provvedimenti recentissimi, il regresso
dell’ispirazione non mediabile del Green Deal europeo, danno ragione – a mio parere –
alle forze che rappresentano l’orizzonte dell’umanità minacciato da un intreccio di
emergenze esiziali, tutte legate allo scarto tra mancanza di controllo sociale delle nuove
tecnologie, riduzione degli spazi democratici e un antropocentrismo duro a morire. Per il
progresso, inteso senza principio di precauzione non c’è cura. Ho la sensazione che
questa percezione di separazione tra la vita umana e quella dell’ambiente stia penetrando
ad un livello popolare ancora inespresso politicamente, ma potenzialmente maggioritario,
nonostante ogni sorta di deviazione a cui il mainstream si presta alacremente.
Diventerà sempre più stringente una correlazione tra il rispetto del diritto a difendere
l’ambiente e la salute pubblica, del diritto a mobilitarsi per contribuire all’adozione di
effettive ed efficaci politiche di contrasto ai cambiamenti climatici e la battaglia per la pace
e la giustizia sociale su scala globale.
Da questo punto di vista credo siano di grande interesse i segni di risveglio del continente
africano. Si è svolto l’estate scorsa un importante convegno dell’Africa Investment Forum
(Aif), in cui dodici nazioni prendevano atto che l'Africa è ricca di minerali strategici, tra cui
le terre rare, litio, grafite, bauxite, manganese e cobalto, tutti essenziali per le tecnologie
moderne. E che per sfruttare il valore di questi minerali sono necessari investimenti in
infrastrutture, innovazione e pratiche sostenibili in loco e lo sviluppo del tessuto industriale
locale. La richiesta impellente, che equivale ad un programma, è quella per cui i minerali
strategici dell'Africa debbano essere lavorati prima di essere esportati, al fine di creare
catene del valore e posti di lavoro per le popolazioni locali. Siamo di fronte a qualcosa di
molto più potente della stessa rivolta anticoloniale: l’Africa, per salvare il clima, vuole
rendersi autonoma e protagonista sulle tecnologie.
Per concludere, credo sia in atto una trasformazione epocale entro cui, da parte dei poteri
dominanti, si applica su scala globale ogni sforzo per impedire un governo dei processi a
democrazia sociale. Per quanto riguarda il nodo determinante dell’energia, il modo più
economico di produrre oggi è a partire dal sole e dal vento. Ci si può permettere quindi di
pensare ad un mondo che si basi sull’abbassamento della curva della domanda e sul
100% di offerta da energia rinnovabile. Una trasformazione che può partire subito e
dovunque, anche programmando e progredendo per gradi e successive correzioni, invece
che attendere decenni. Non attendere e lottare per la pace, la giustizia climatica e sociale
è il fondamento indispensabile di un programma della sinistra di alternativa.
Per tenervi informati su Mario Agostinelli:
https://www.marioagostinelli.it/
13 Vedi Francesco Martone: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/03/06/
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