Mentre migliaia di disperati nei paesi arabi braccano diplomatici e presenze simboliche occidentali per sfogare la loro rabbia contro il film blasfemo "a orologeria" (guarda caso proprio sotto elezioni americane), milioni di occidentali si domandano che fine hanno fatto i milioni di giovani che coordinati con i social network meno di un anno fa hanno fatto crollare regimi che pareva impensabile potessero mai essere rimossi dalla furia popolare: satrapi autocratici come Ben Alì, rais petroliferi come Gheddafi, semi divinità per diritto dinastico come Mubarak, cadono in rapida sequenza e subito si grida al miracolo, alla fine dell'estremismo integralista islamico, marginalizzato da processi rivoluzionari "laici" e moderni. La doccia fredda arriva dalle elezioni, dove riprendono il sopravvento proprio quelle forze date per spacciate forse troppo frettolosamente. Gli sviluppi successivi sono la cronaca degli ultimi giorni. Che fine hanno fatto le rivoluzioni arabe? ci si domanda in quella parte dell'occidente che aveva a cuore l'emergere di movimenti moderni sull'altra sponda del mediterraneo che potessero forse, accendere se non lo spirito rivoluzionario, almeno il senso critico delle popolazioni non solo arabe ma anche occidentali, sommerse sotto una valanga di debiti non generati da loro e costrette a subire, con la scusa del rigore finanziario, il più duro attacco ai diritti dei lavoratori e alla spesa sociale che si ricordi nel dopoguerra. Ricordo ancora una vignetta sul Manifesto in cui della penisola italiana, un personaggio in pantofole si rivolgeva alla folla festante per la caduta di Gheddafi sull'altra sponda del mediterraneo e con l'indice sul naso diceva "Shhhh! un po' di silenzio per favore, qui c'è un popolo che dorme!". Meno di un anno dopo dobbiamo dunque prendere atto che niente è cambiato? Che la primavera araba è stata solo una parentesi fra due stagioni di fondamentalismo e intolleranza? Una meteora presto scomparsa dallo schermo radar dei paesi islamici in cui invece resistono ottimamente fratellanze musulmane, Sharie, Jihad e quedismi vari?
Non credo. Io comprendo l'atteggiamento di scoraggiamento di fronte a questo rigurgito di intolleranza fondamentalista che si sperava sepolta per sempre da una più matura e moderna espressione di rivolta popolare. Ma lo trovo frutto di una analisi affrettata, come affrettata era stata la gioia per la prematura scomparsa del fondamentalismo. Penso invece che il processo rivoluzionario che si è innescato in tutto il mondo arabo con il sacrificio della vita di Mohamed Bouazizi nella terra dei gelsomini, sia un processo irreversibile. I tumulti della primavera araba apparentemente rifluiti in quello che è stato definito "l'autunno" islamico, erano solo un preludio.
La verità è che le masse sfruttate dei paesi islamici hanno cominciato a prendere coscienza della loro condizione di sfruttamento. In altre parole, stanno formando una coscienza di classe, per dirla con Gramsci stanno passando dalla condizione di "classe in sè" a quella di "classe per se". Non è un processo lineare, e nemmeno prevedibile. E' un processo contraddittorio e lento. Ma è un processo irreversibile. I valori dei ventenni sono diversi da quelli dei loro padri a occidente come nel mondo musulmano. Ho incontrato giovani marocchini, tunisini, algerini, libici, che hanno più considerazione per Messi o Shakira che per i muezzin che li chiamano alla preghiera ogni quattro ore, che si sentono parte di un islam diverso e certamente mille miglia lontano da qualunque fondamentalismo. Che guardano film occidentali e trangugiano immonde bevande gassate americane davanti a vecchi che scuotono la testa rassegnati. E che considerano la loro libertà personale e la loro indipendenza economica e anche psicologica un valore di gran lunga superiore a qualunque tradizionalismo religioso. Comincia a emergere la consapevolezza per milioni di persone nei paesi islamici in fase pre e post rivoluzionaria, della loro condizione di classe sfruttata, che non migliorerà con l'oltranzismo religioso, e si diffonde l'dea che non sono gli occidentali infedeli e secolarizzati il vero nemico, ma gli arabi delle classi dominanti ricchi da fare schifo, gonfi della loro arroganza ed ipocrisia ma forti dell'appoggio dei potentati petroliferi e e finanziari occidentali. Presto o tardi questa consapevolezza si diffonderà in modo virale facendo prevalere un senso di fratellanza con i coetanei indignati spagnoli o americani di Occupy , e allora per le classi dominanti islamiche sarà l'inferno. Non ci saranno vignette o film satirici su Maometto che riusciranno a distrarre la nuova classe "per" sè (cioè consapevole dei propri diritti violati e auto organizzata per ripristinarne il rispetto).
Perchè in realtà questi rigurgiti fondamentalisti degli ultimi giorni, a me sembrano solo una potente arma di distrAzione di massa, orchestrata dai ceti dirigenti e i loro servizi segreti con la complicità della destra americana, necessario sparring partner di una guerra di religione artificiale, servita col ghiaccio on the rocks dai soliti burattinai. Perchè questo sono tutte le guerre religiose: armi di distrAzione di massa! Questi popoli arabi tenuti in condizioni semi feudali (alcuni proprio pre feudali) con una concentrazione della ricchezza e un divario di reddito agghiacciante avrebbero tutte le ragioni per fare una rivoluzione contro le caste oligarchiche che li affamano in nome di Allah (in nome del quale loro però "magnano"). Invece l'aggressività di questi popoli si scarica nei tumulti di intolleranza religiosa! Il medesimo modello lo osserviamo nei paesi occidentali, mutatis mutandis, dove l'aggressività si scarica negli stadi secondo il modello millenario dei "panem et Circenses"o addirittura in false competizioni artificiali costruite a tavolino, come Miss Italia e addirittura "Veline", o i reality shows che servono a distrarre da una disoccupazione giovanile al suo massimo storico, masse di giovani troppo passive per reagire emigrando. Agli stessi fini nei Paesi arabi invece si organizzano gli assalti all'infedele... Ma le rivoluzioni arabe hanno fatto nascere collettivi di auto coscienza, gruppi di studio sui social network, e ancora in fasce, una coscienza nuova della propria condizione di sfruttamento che è il preludio allo sviluppo di una classe rivoluzionaria, che in questo momento non è in piazza contro gli occidentali. La distrazione può ritardare questo processo ma non arrestarlo. I giorni sono contati. Forse saranno anni, forse decenni (Mi piace qui parafrasare il bellissimo titolo del libro di Giorgio Ruffolo, "Il Capitalismo ha i secoli contati"). Certo non sarà domani, e forse nemmeno l'anno venturo. Forse nemmeno fra dieci anni. Ma il processo storico che si è innescato a Sidi Bouzin e Kasserine in Tunisia a febbraio 2011, è ormai inarrestabile e alla fine produrrà un risultato liberatorio. Dopo ogni preludio c'è sempre una sinfonia...
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