mercoledì 31 dicembre 2014

Ci sono battaglie che vale la pena di combattere anche solo per perderle. Come il Reddito di Cittadinanza.

Diceva il "Che" che le uniche battaglie che si perdono sono quelle che non si combattono. 

La battaglia in favore del reddito di cittadinanza è stata lanciata con grande merito dal Movimento 5 Stelle, e merita di essere combattuta fino in fondo. Anche se la si dovesse perdere sarebbe comunque una vittoria.

Dico subito però che limitarsi a depositare un disegno di legge senza una campagna a tappeto, non è combattere. E' fare il proprio onesto compitino di legislatore.

Combattere è un'altra cosa. 
Per combattere c'è bisogno di sensibilizzare l'opinione pubblica, raccogliere milioni di firme a sostegno di questa proposta di legge, sbatterle in faccia alle forze della partitocrazia tradizionale impedire loro di nascondersi dietro al dito ipocrita della mancata copertura finanziaria e costringerli a gettare la maschera. 
A quel punto anche se la proposta dovesse essere respinta, chi voterebbe contro se ne assumerebbe la piena responsabilità e pagherebbe il prezzo in termini di consenso elettorale.  
Ecco una battaglia che vale anche la pena di perdere, e siccome è un suo cavallo di battaglia da sempre, voglio esortare il Movimento 5 Stelle  a riprendere il vessillo del Reddito di Cittadinanza dalle retrovie e riportarlo con forza in prima linea. 
Magari in parallelo alla campagna per la raccolta firme mirante a introdurre il referendum contro l'Euro, una campagna della cui utilità personalmente continuo a non essere convinto, mentre la proposta per il reddito di cittadinanza è una vera e propria bomba che mette in crisi l'attuale strategia non solo italiana ma continentale e globale intesa a creare disoccupazione e precarietà.

LA PRECARIETA' COME STRATEGIA PRECISA
Molti acuti osservatori delle dinamiche economiche recenti ritengono che le politiche di austerità e rigore finanziario abbiano fallito perchè hanno creato precarietà e povertà. In realtà, quelle politiche non hanno affatto fallito, perchè la disoccupazione e la precarietà che hanno creato non erano affatto un incidente ma l'obiettivo principale di quelle folli politiche economiche. 
Se non si capisce questo, non si capisce cosa è successo, sta succedendo e succederà. 
Bisogna cioè capire che la disoccupazione e la precarietà non sono un incidente di percorso, ma una strategia precisa mirante a creare un esercito di riserva di disoccupati laureati e disperati, disposti a a lavorare in squallidi call center per 350 euro al mese con contratti mensili rinnovabili... e di lavoratori meno qualificati disposti a lavorare in miniera, in acciaieria o in altre situazioni umanamente, fisicamente e psichicamente impossibili, (salvo poi unirsi ai "carnefici" di Confindustria in ridicole marce a tutela del diritto a  un lavoro insalubre e dannosissimo per l'ambiente, le risorse naturali e la salute dei concittadini).

Analogamente si inducono paesi ricchi di risorse naturali ma deboli politicamente a indebitarsi in modo da costringerli ad accettare la svendita del loro patrimonio a prezzi di saldo.
Si tratta di un preciso disegno politico dei poteri fossili e finanziari globali che, attraverso, troike, governi fantoccio e Banche Centrali, continuano ad imporre modelli economici fallimentari a bassissima intensità di lavoro, e ad altissima intensità di capitali, a tutto vantaggio di quella speculazione finanziaria mondiale che viene  gratificata, da media collusi e compiacenti, col titolo immaginifico di "mercati internazionali".  
Questo spiega perchè i governi non eletti ma nominati, tipo Renzi, attacchino pesantemente le protezioni sociali proponendo fantasiose e del tutto VIRTUALI  "tutele crescenti" in cambio di una   distruzione di diritti e del lavoro che non è affatto VIRTUALE ma è invece ben REALE!

Questo spiega anche i brutali e apparentemente inspiegabili attacchi ai settori economici ad alta intensità di lavoro (come le rinnovabili) e le contestuali politiche di favore verso settori a bassa intensità di lavoro ma altissima intensità finanziaria, come le infrastrutture dell'energia fossile, l'industria pesante e l'acciaio.  

La svendita degli "asset" industriali e turistici del Paese completa il quadro.

  UNA POLITICA ECONOMICA SUICIDA 
Questa strategia economica suicida per indebitare gli stati, impoverire i cittadini e creare precarietà, è funzionale all'interesse di pochi e lesiva dell'interesse della collettività e si articola in due tempi:
1) Si  incoraggiano gli investimenti pubblici e privati a costi marginali altissimi, che sono puramente  funzionali alla logica del profitto estremo, e in cui il lavoro diventa un fattore comprimibile, mentre i beni comuni e la tutela della salute pubblica diventano "zavorra" spendibile.
2) Si continua invece a scoraggiare investimenti nell'energia sostenibile, l'economia circolare, la tutela dei beni comuni, la risistemazione del territorio per prevenire il dissesto idrogeologico, la tutela del paesaggio, della cultura, dell'architettura, dell'archeologia, della storia, del nostro territorio.
Assistiamo così alla autorizzazione e al cofinanziamento di grandi opere, e grandi centri commerciali che continuano a impermeabilizzare il terreno e accelerare lo sfacelo del territorio e contestualmente, alla burocratizzazione crescente che mette i bastoni fra le ruote  agli investimenti nel riassetto idrogeologico, all'energia rinnovabile, alla valorizzazione del patrimonio immateriale.


L'ECONOMIA COLLABORATIVA DI RIFKIN

Jeremy Rifkin nel suo ultimo libro, "La Società a Costo Marginale Zero", parla di "Commons collaborativo" in cui milioni di cittadini diventano "prosumers" (produttori e consumatori insieme) e creano nuove opportunità secondo un modello economico distribuito che sostituisce gradualmente il capitalismo di mercato, con milioni di piccole e piccolissime aziende in rete fra di loro, in una economia circolare in cui la materia viene riutilizzata e riciclata, e l'energia e il cibo vengono prodotti secondo modelli solari rispettosi dei principi della termodinamica e delle leggi della biosfera. 

In questo nuovo quadro economico sostenibile, collaborativo e distribuito, l'entropia dei processi produttivi (inquinamento, disordine, alterazione del clima, ingiustizia sociale) viene progressivamente ridotta a (quasi) zero, e il lavoro dell'uomo, (che nella seconda rivoluzione industriale, era stato svilito, mercificato e sostituito dal quello della macchina e del petrolio), ritorna a creare capitale sociale anzichè capitale finanziario. 
Queste brevi considerazioni ci permettono di esaminare la proposta del Reddito di Cittadinanza anche alla luce delle sue implicazioni sociali per migliorare il testo della proposta di legge recentemente introdotta e divulgarla con maggior forza.  

GENESI STORICA DEL REDDITO DI CITTADINANZA

Fra i vari gruppi e frange del grande movimento studentesco  del 1977, ve n'era uno particolarmente originale e autoironico che si era autodenominato "Indiani Metropolitani, e che aveva al punto primo del suo programma una immaginifica proposta: La retribuzione dellozio giovanile.
Questa proposta mi è ritornata in mente con forza da quando il tema del Reddito di Cittadinanza è stato impetuosamente portato alla ribalta dellagenda politica italiana dal Movimento 5 Stelle.
Tale proposta, recentemente sostanziatasi in un articolato progetto di legge (consultabile al link in fine post)  ha destato una certa perplessità in relazione all'art. 20 (reperimento delle fonti finanziamento) e all'articolo 9 (condizioni di attribuzione ed erogazione). 

1977. Bologna. Indiani Metropolitani.
Dico preliminarmente che le critiche in merito al finanziamento mi lasciano perplesso perchè mi paiono chiaramente strumentali: quasi tutti i paesi europei insigniti della tripla A da parte delle agenzie di rating, applicano qualche forma di sostegno al reddito senza per questo essere finiti in bancarotta.




UN REDDITO DI CITTADINANZA CON ... L'ANIMA
Le mie riflessioni invece si indirizzano verso le condizioni di attribuzione erogazione e mantenimento del beneficio, che a mio avviso peccano di eccesso di meccanicità e potrebbero essere migliorate.
Gli articoli 7 e seguenti della proposta di legge infatti, stabiliscono regole formali per la concessione e il mantenimento del beneficio,  in base a una dettagliata serie di condizioni che disciplinano il rapporto fra lavoro e non lavoro (=ozio), ma lo fanno, a mio avviso, in un modo che definirei "senz'anima". 
Voglio dire che non bisogna mai dimenticare la complessa condizione umana in cui si trova chi è costretto a una inattività forzata (specie se giovane e con scarsa o nulla esperienza lavorativa precedente).
Questa situazione, genera non solo una indigenza materiale ma anche tutta una serie di contraccolpi di carattere psicologico, primo fra tutti una forte insicurezza personale.
Mi spiego meglio ricorrendo alle parole del grande sociologo Luciano Gallino, che ci ricorda che  "
il lavoro è stato soggetto a una progressiva mercificazione e "flessibilizzazione", per adeguarsi alle esigenze di mobilità estrema dei capitali sul mercato finanziario,  e conseguentemente i lavoratori si sono dovuti adattare alla corrispondente "precarizzazione". 
Questo fenomeno non è privo di incidenza sull'umore e sul carattere dellessere umano: da tante persone il lavoro precario è percepito come una ferita dellesistenza, una fonte immeritata  di ansia, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che si davano per scontati…"  
(Luciano Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza Editore 2012, pag 169).


Nella intuizione di un reddito di "Cittadinanza",     c’è molto di più che non la semplice azione meccanica di assistenza materiale, quasi una forma di elemosina, almeno nella interpretazione dei più rigidi economisti ultraliberisti: cè l'intuizione che il sostegno al reddito genera il senso di appartenenza ad una comunità perchè chi rimane indietro si sente aiutato dalla comunità a cui appartiene. 

LA CITTADINANZA ATTIVA DI UN MONDO NUOVO
C’è lidea di un nuovo mondo nel quale si ricompone il rapporto fra uomo e uomo. E quello fra esseri umani e le risorse naturali, all'insegna del soddisfacimento sobrio delle esigenze materiali dell'umanità, che ritorna così al centro dellazione della Polis. 
Fino ad oggi questo rapporto si è ricomposto invece in base alla logica del profitto estremo, che al centro dell'azione della Polis, ha invece posto valori materiali.
In questo rapporto di comunità, evidentemente il dare e lavere non possono essere considerati separati o intermittenti, o si rischia che il Reddito di Cittadinanza  diventi sterile e cronico assistenzialismo.

Infatti se è vero che una comunità deve aiutare chi rimane indietro, vorrei ricordare "kennedianamente" che è altrettanto vero che l'obbligo è reciproco e anche chi rimane indietro deve aiutare la sua comunità
Naturalmente tale aiuto deve essere commisurato alle capacità e ai mezzi personali ma non è illogico aspettarsi che il destinatario del reddito di cittadinanza possa contribuire in qualche modo a migliorare la società che lo aiuta. Kennedy introdusse il "Community Service" a cui tutti gli studenti dovevano sottoporsi come parte del loro percorso formativo. Oggi le cose sono cambiate ma l'idea di una sorta di "community service", magari aggiornato alla sensibilità dei nostri tempi, è ancora valida.  Prendiamo ad esempio il caso del guerrilla gardening che ormai coinvolge decine di migliaia di giovani e meno giovani, che "adottano" e fanno rifiorire le derelitte aree verdi delle nostre città, recando ristoro alle comunità che le condividono. 
Un fenomeno spontaneo di lavoro volontario per la comunità in rapida espansione in tutta la penisola, e che ben simboleggia la nuova e crescente coscienza ecologica ed empatica dei nostri tempi. Altri esempi si possono fare (e li faremo dopo). 

Per adesso però vorrei sottolineare che il governo che offre il Reddito di Cittadinanza deve al tempo stesso creare lavoro con strategie efficaci, possibilmente ben al di la di quanto previsto dall'articolo 10.3 del progetto di legge, che si limita a prevedere il compito per "le agenzie per l'impiego di concerto con i comuni e le agenzie del demanio" di creare lavoro in non meglio precisati settori innovativi. 
Proviamo dunque a prevedere in modo meno generico quali settori creino lavoro tramite l'innovazione.
I distretti della stampa 3D? L'agricoltura biologica di qualità? Le rinnovabili integrate nei processi produttivi aziendali? L'economia circolare? La cultura? I servizi informatici avanzati? 
Il Club della Stampa 3D della Camera di Commercio di Lilla, uno dei
200 primi progetti TRI previsti nel Master Plan del Nord Pas de Calais
Insomma il lavoro va creato con strategie efficaci, adottando modelli economici ad alta intensità di lavoro, ben al di la dei poteri e dei compiti dei "centri per l'impiego, i comuni e le agenzie del demanio". 
Le strategie economiche le fanno il governo e le regioni. 
Sopratutto il governo. 
E infatti per reagire alla disoccupazione, il governo Renzi si è inventato il Jobs Act. 
E' sufficiente? Va nella direzione giusta?
Assolutamente no. Vediamo perchè. 
Tecnicamente il Jobs Act è un decreto del Ministero del Lavoro. 
Dal punto di vista dei contenuti, tale decreto è ispirato ai dogmi liberisti che per creare lavoro bisogna rendere più facile i licenziamenti e agire sulla leva fiscale. 
E infatti esso precarizza quel poco di lavoro stabile che è sopravvissuto a decenni di follia utraliberista e fornisce incentivi fiscali all'assunzione (anche l'articolo 17 del progetto di legge sul Reddito di Cittadinanza li prevede). 
A mio avviso qui però c'è un errore concettuale.  
Il lavoro non si crea per decreto ma per "dinamiche di mercato". 
Se le aziende hanno contratti assumono, che ci sia o no l'articolo 18. 
Se invece non ne hanno perchè magari (come adesso) siamo in un periodo di stagnazione della domanda, deflazione e recessione, possiamo abolire tutti gli articoli 18 che vogliamo, introdurre tutti gli incentivi e le defiscalizzazioni alle nuove assunzioni che vogliamo, ma non creeremo nuovi posti di lavoro, perchè le aziende semplicemente  NON AVRANNO BISOGNO NE' POSSIBILITA' DI ASSUMERE. 
Per dare lavoro alle aziende bisogna cambiare le politiche economiche non quelle del lavoro. 
In altre parole per creare lavoro non va riformato il mercato del lavoro ma la struttura delleconomia. 
E questo non è non il compito del Ministro del Lavoro, ma del Ministro dello Sviluppo Economico (caro Renzi).

Questa è una vecchia trappola della sinistra "modernista" europea alla Tony Blair che continua a pensare che vanno cambiate le politiche sociali ma non le strategie economiche del Paese. 
I partiti neolaburisti con consiglieri tipo Antony Giddens, Pietro Ichino o Goram Gutgeld, non riescono proprio ad arrivarci che il modello economico capitalistico è arrivato ai limiti della sua stessa efficienza e che bisogna cambiare modello riorientando le scelte economiche verso la creazione di lavoro nell'economia reale e non verso la creazione di valore finanziario / profitto nell'economia virtuale.

Una direzione che queste nuove politiche economiche potrebbero prendere è quella di favorire la nuova economia della condivisione dal basso a bassi costi marginali che valorizzi il territorio, come suggerisce il manifesto Territorio Zero (verso una società a emissioni, rifiuti e chilometro zero, www.territoriozero.org).

Territorio Zero, ispirato alle visioni di Rifkin messe in sinergia con quelle di altri
due grandi pensatori del nostro tempo, Petrini e Connett, ci ricorda che in uno scenario economico basato sul rispetto delle risorse naturali e dei principi della termodinamica, si alza enormemente lintensità di lavoro rispetto allo scenario esistente basato sullo sfruttamento delle fonti fossili e concentrate e la dissipazione delle risorse naturali, in cui luomo ha una incidenza inferiore a quella del capitale, da cui discende la crisi occupazionale che stiamo vivendo, con conseguente concentrazione delle ricchezze in pochissime mani su scala nazionale, europea e mondiale.  

In questo nuovo "Scenario Zero” infatti, si declinano a livello locale quelle politiche di Terza Rivoluzione Industriale a basso costo marginale auspicate da Jeremy Rifkin nei suoi ultimi due libri, "La terza rivoluzione industriale" (2012), e La Società a Costo Marginale zero (2014).
E' una nuova economia dal basso ispirata a un modello distribuito anzichè centralizzato, che crea comunità e riforma completamente la società creando ricchezza distribuita e lavoro mediante politiche virtuose sul piano energetico, dei consumi e dell'agricoltura, mediante la sharing economy.

Il modello distribuito funziona senza grandi impianti e grandi insediamenti produttivi, perchè è basato sulla creazione e la messa in rete di milioni di piccole centrali produttive di energia rinnovabile operate da milioni di produttori/consumatori, centinaia di migliaia di centri di raccolta e informazione per la chiusura virtuosa del ciclo dei prodotti e leliminazione del concetto stesso di rifiuto, il ritorno ad una agricoltura di qualità su piccola e piccolissima scala, interconnessa con le comunità locali attraverso la moltiplicazione esponenziale dei mercati di vendita diretta ("Farmer market") dei gruppi d'acquisto (Community Supported Agriculture) e della modernizzazione e decarbonizzazione delle attività di produzione e di trasformazione agricola.

Questo modello distribuito è ad alta intensità di lavoro e a  bassa intensità di capitali. Esso dunque remunera il lavoro e non il capitale (che spesso si sostanzia in rendita parassitaria e speculativa disconnessa dalla sottostante economia reale), e permette di disinnescare a livello locale quelle politiche economiche irresponsabili spesso innescate a livello nazionale o europeo, che conducono a una depressione dei consumi e della ricchezza circolante e a un aumento della ricchezza accumulata e della disoccupazione. 

Jeremy Rifkin già nel 1985 con il libro La fine del lavoro in cui parlò per primo di    "jobless recovery" (ripresa senza occupazione) cosa che suscitò lironia dei soloni delle scuole economiche ultraliberiste, secondo i cui dogmi la crescita genera sempre occupazione. Essi non si erano accorti che un  insieme di fattori dovuti alla tecnologia e alla estremizzazione della produttività hanno creato la tempesta perfetta in cui la ripresa senza occupazione si è effettivamente manifestata. 
Rifkin ha così ottenuto un amaro e tardivo riconoscimento della sua preveggenza.  

La verità infatti, diciotto anni più tardi, è di tutta evidenza: i vecchi modelli economici basati sull'energia convenzionale, le grandi centrali e le grandi fabbriche sono arrivati al limite della loro efficienza produttiva perchè ormai hanno una efficienza energetica aggregata (= lavoro utile per unità di energia impiegata) bassissima e non creano più lavoro.

In altre parole non funzionano più.

Sono i nuovi modelli, quelli di Territorio Zero, che creano occupazione e PIL distribuito. 
E quindi funzionano.

Lavora molta più gente in un sistema comunale rifiuti zero , con la soppressione della raccolta tramite cassonetti e la messa in campo di una rete effettivamente funzionante di "banche del rifiuto e del riuso",  laboratori di riparazione, miniere urbane, circuiti di rivendita dellusato, campagne di informazione alla cittadinanza per acquisti consapevoli, che non chiudendo i ciclo dei consumi con discariche e inceneritori.

Lavora molta più gente in uno scenario energetico locale dove collaborano decine di migliaia di piccole e medie imprese per offrire ad altre imprese, ai cittadini, agli enti locali, alla comunità, servizi energetici integrati ad alto valore aggiunto (impianti rinnovabili di piccola taglia, sistemi di accumulo energetico a idrogeno e daltro tipo, reti intelligenti e domotica, costruzioni a energia positiva, raffrescamento solare, irrigazione fotovoltaica etc), che non nella produzione di energia  equivalente con il modello delle grandi centrali da fonti convenzionali.

Lavora molta più gente in uno scenario di agricoltura di filiera corta locale che nell'attuale modello di filiera lunga con macroscopici impianti agroindustriali e speculazioni finanziarie sulle derrate alimentari.

Lavora molta più gente nella manifattura 3D con piccole imprese locali in rete fra di loro in cui si recupera lo spirito artigianale che è la forza del nostro paese, che non nell'industria pesante, le acciaierie, e il manifatturiero tradizionale.

Lavora molta più gente chiudendo il ciclo dei consumi in modo virtuoso (=senza rifiuti) secondo i canonindell'economia circolare (centri del riuso, laboratori di riparazione, negizi dell'usato, riciclo di filiera corta) che non chiudendo il ciclo in modo lineare  con discariche e inceneritori.

Stiamo però parlando di mestieri e professionalità che per la maggior parte non esistono ancora. 

Per crearle bisogna mettere in campo una nuova politica economica per avviare un grandissimo sforzo di riconversione produttiva e di formazione professionale che sappia giocare d'anticipo sulla chiusura inevitabile delle grandi centrali termoelettriche inquinanti ed obsolete, e delle grandi fabbriche, provvedendo alla riqualificazione  del relativo personale verso i mestieri della nuova energia e della nuova economia.

In un futuro prossimo (che per molti versi è già qui),  invece di un ingegnere petrolifero o di un esperto di agricoltura intensiva, ci sarà bisogno di venti progettisti, installatori e manutentori di fotovoltaico tradizionale e organico, solar cooling, mini eolico verticale, elettrolizzatori a idrogeno collegati in una rete di smart grid, manodopera locale riqualificata verso modelli de carbonizzati e biologici nell'agricoltura di prossimità con sistemi di irrigazione fotovoltaica, refrigerazione solare, centri di compostaggio e mini impianti di biogas per i liquami aziendali, ma anche nuovi modelli di consumo locale tutti ancora da inventare (e dove esistono, da estendere). Invece di un impiantista per progettare un impianto di TMB (Trattamento Meccanico Biologico) o un inceneritore o un tritovagliatore, ci saranno decine di posti di lavoro nei centri del riuso e della riparazione, nel riciclo di filiera corta collegato con la manifattura additiva, di comunicatori sociali che organizzano e conducono campagne per cambiare i comportament dei consumatori riorientandoli verso l'acquisto di beni senza imballaggi o vuoti a perdere, verso il riuso, il riciclo e la prevenzione del rifiuto con tante nuove imprese per il riuso e l'attivazione delle filiere locali e del riciclo, delle pratiche commerciali  con vuoti a rendere e senza vuoti a perdere, delle comunità della condivisione economica e sociale, della  valorizzazione dei beni comuni e degli spazi urbani, della risistemazione del territorio, dell'assistenza sociale, e della cultura e informazione. 

Queste attività  -che sono i mestieri di Territorio Zero- creano ricchezza distribuita ma non hanno ancora raggiunto la maturità produttiva e il loro espletamento avviene tramite figure professionali nuove che per il momento vengono considerate più o meno prestazioni volontarie o remunerate secondo meccanismi non inseriti nel mercato del lavoro ufficiale. 
Perchè non accelerare i tempi di questa fase di transizione creando uno statuto intermedio metà lavoro e metà volontariato, da proporre in contropartita della percezione del Reddito di Cittadinanza" perchè questa Cittadinanza invece che "oziosa" diventi "Attiva” 

Ecco il piano per battere la disoccupazione.
Ecco cosa dovrebbe fare un governo che volesse effettivamente creare lavoro!

Altro che Jobs Act e riforma del mercato del lavoro o abolizione dell'articolo 18!

Spiace constatare che il governo Renzi stia invece andando nella direzione totalmente opposta. 

Sta stroncando i settori che producono occupazione (come le rinnovabili) e sta incoraggiando al massimo grandi opere e energia fossile. 

Dunque non si può fare proprio niente? 

Non è detto. Anche anche nella totale insensibilità del governo, la battaglia per il reddito di cittadinanza si può coniugare con strategie a livello locale per la creazione di lavoro nella nuova economia collaborativa in cui i Comuni e le amministrazioni locali possono adottare strategie "zero" e creare lavoro stimolando l'economia locale.
Jeremy Rifkin presenta il Master Plan TRI a Lilla. 10.10.13
Non si tratta di sogni o fantasie. 

Prato sintetico da copertoni riciclati
a Cauchy à la Tour, Nord Pas de Calais
Sta già succedendo. In alcuni posti più rapidamente che in altri, come nella regione francese del Nord Pas de Calais (4 milioni di abitanti) dove è stato elaborato nel 2013 ed è oggi in corso di attuazione  un ambizioso "Master Plan" che prevede la decarbonizzazione totale della regione  entro il 2050, con un saldo occupazionale netto di 165.000 posti di lavoro (20.000 posti di lavoro in più all'anno!).
Per realizzare questo piano, sono nate già oltre 200 imprese della nuova 
economia, da quelle che riciclano copertoni per fare campi in erba sintetica a quelle che creano spazi di co-working in vecchie fabbriche ristrutturate in cui i giovani start-upper possono pagare l'affitto anche in lavoro. 
Dai primi autobus a idrogeno sperimentali per il servizio pubblico a Dunquerque al crowd funding per il bike sharing elettrico.

(per approfondire sul progetto di Terza Rivoluzione Industriale in Francia si veda il link in fine post).


Si tratta di abbracciare la filosofia "zero" (e francamente non vedo che altro si possa fare in una situazione in cui le fonti convenzionali denergia e le risorse naturali sono prossime all'esaurimento).  

Gli enti locali che sono più vicini al cittadino, hanno il dovere etico prima ancora che giuridico di garantire la valorizzazione delle proprie risorse naturali e energetiche.  
Attenzione, ho detto valorizzazione, non sfruttamento. 

Le risorse naturali vanno utilizzate in modo da permettere la loro rigenerazione in tempi compatibili con i cicli umani. In modo che possano essere preservate per future generazioni.

Poi bisogna mettere in campo piani di riqualificazione professionale e di avviamento ai "mestieri di Territorio Zero" per tutti coloro che godano del "Reddito di Cittadinanza", evitando il corto circuito fra inoccupazione e inesperienza, che tiene fuori dal mercato del lavoro centinaia di migliaia di risorse umane che si avvierebbero altrimenti a un futuro di "ozio".

"L'ozio", dicevano i latini è padre di tutti i vizi”.

Io aggiungerei che è anche fratello della disperazione. 

Ecco perchè alle politiche di assistenza vanno affiancate politiche creatrici di lavoro e ricchezza secondo la filosofia "zero", in modo che il Reddito di Cittadinanza possa diventare l'occasione per andare oltre la semplice soddisfazione di un bisogno materiale dell'individuo. 

Esso potrà diventare l'occasione di "fare comunità", e di diffondere speranza.  
Chi si opporrà al reddito di Cittadinanza di Comunità, se ne assumerà la piena responsabilità davanti ai propri elettori. 

Non è una battaglia che vale davvero la pena di combattere, ed eventualmente anche di perdere?




Link di approfondimento:
sulla proposta di legge sul reddito di cittadinanza:  http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/milano/area_stampa_1/comunicati_stampa/PROPOSTA%20DI%20LEGGE%20reddito%20di%20cittadinanza.pdf

Sul progetto nel Nord Pas de Calais in Francia:http://www.latroisiemerevolutionindustrielleennordpasdecalais.fr/2014/10/16/150-initiatives-troisieme-revolution-industrielle/

2 commenti:

  1. Esposizione completa e totalmente condivisibile.

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  2. Condivido i contenuti testuali,soprattutto la divisione tra capitale sociale e capitale economico che vanno rindirizzate a finalità circolari per il bene comune. I lavoratori consumatori con la sostituzione di ROBOT che lavorano gratis sbilanciando li catena della fame ha reso l'uomo libero ma ancora consatore ma non avendo reddito non potrà più consumare,e dovere istituire un reddito minimo di cittadinanza per sostenere civilmente sopra la soglia di povertà gli individui senza più lavoro,qualificando l'ozio in positivo ridefinendo il nuovo ruolo in cui trasfurmare la riqualificazione del lavoro per una visione di Capitale sociale produttivo e partecipativo per il contenuto ideale disponibile perché in ozio si pensa di più in positivo se si ha la pancia piena . Bisogna Tassare i Robot mettendo una targa e nazionalizzarli con iscrizione ad un pubblico registro automotive e l'equivalente reddito in kwh tassato per sostenere l'onere del reddito di cittadinanza dando certezza e continuità al cerchio della fame.

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