OVVERO COME RENZI È RIUSCITO A IMPOSSESSARSI DI UN SIMBOLO CHE NON GLI APPARTIENE PER LEGITTIMARE UNA OPERAZIONE DI SEGNO CONTRARIO A QUEL SIMBOLO.
Devo assolutamente congratularmi con la comunicazione renziana per l'operazione "Ventotene" che vince sicuramente il premio per la più ipocrita ed eterogenetica azione di comunicazione della storia dell'umanità. Il simpatico caratterista fiorentino in realtà ci ha già abituato a vederlo fare il contrario di quello che dice e dire il contrario di quello che fa in una mistificazione permanente delle sue azioni politiche.
Del resto Renzi è recidivo. Già a gennaio scorso era cominciata questa che ormai è scopertamente una vera e propria operazione di OCCUPAZIONE MEDIATICA di Ventotene, quando era andato a farsi fotografare sull'isoletta tirrenica, consapevole del suo forte impatto mediatico, per proporre un'Europa Federale che, detta da lui, suona a metà fra un insulto e una minaccia.
Ma con questa operazione è riuscito a internazionalizzare lo svuotamento di qualunque contenuto e il capovolgimento dei valori di cui Ventotene è riferimento.
Invitando Hollande e Merkel nell'isoletta tirrenica dove Spinelli era stato confinato da Mussolini, Renzi usurpa un luogo simbolo della lotta ideale per una Europa libera dai nazionalismi, dalla logica finanziaria capitalista, dallo sfruttamento dell'essere umano e dalla soppressione dei diritti, una lotta che non solo non gli appartiene ma che lo vede sul fronte opposto!
L'operazione è stata condotta innanzitutto grazie alla spregiudicata rimozione chirurgica delle parole "Manifesto di", dalla parola "Ventotene". Amputata della sua parte più impegnativa e spinelliana, Ventotene è diventata improvvisamente vuota forma senza contenuto, "l'isola dove è nata l'Europa" un contenitore buono per qualunque idea di Europa da quella puramente mercantilista di Nigel Farage, a quella di Europa Fortezza degli Orban e delle Le Pen, a quella di Europa delle banche e della finanza e della speculazione di Draghi, Schäuble Monti. L'unica Europa rimasta fuori dalla Ventotene occupata mediaticamente da Renzi/Merkel/Hollande è giustappunto quella del Manifesto. L'Europa dei Popoli.
Quei popoli oppressi ieri dalla guerra e dal nazionalismo, oggi dalle politiche ultraliberistiche del trio Italo franco tedesco che creano sofferenza sociale e alti margini di profitto per i padroni della finanza nascosti dietro alla scusa ipocrita del "recupero di competitività", quei popoli derubati dalla svendita dei patrimoni pubblici nascosta dietro al paravento ipocrita e sempre meno credibile del rigore finanziario e della necessità di pagare un debito che come spiega Varoufakis non può più essere pagato perché i debitori non versano in situazioni di momentanea scarsità di liquidità ma in situazione di insolvenza permanente e irreversibile. Non era certo questa l'idea di Europa che ispirò Spinelli, Colorni e Rossi a scrivere il Manifesto di Ventotene. Nella loro visione l'Europa doveva mettere insieme le risorse energetiche ed economiche per prevenire ulteriori conflitti bellici e assicurare benessere e prosperità ai cittadini mettendoli al riparo dalla rapacità della speculazione finanziaria (ebbene sì il Manifesto di Ventotene mette in guardia da questo pericolo! Leggete queste poche righe
e capirete:
“Di fatto, poi, i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso col controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e con la violenta eliminazione di tutti i dissenzienti, ogni possibilità legale di ulteriore correzione dello stato di cose vigenti. Si è così assicurata l’esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti e dei redditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo nel tagliare le cedole dei loro titoli; dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori, e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori; dei plutocrati che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l’apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle grandi masse, escluse da ogni possibilità di godere i frutti della moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le riserve materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle possibilità proletarie resta così ridotto, che per vivere i lavoratori sono spesso costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilità di impiego.).
Chi scrisse il Manifesto di Ventotene aveva visto un futuro diverso da quella Equitalia Europea a cui l'Europa è stata ridotta dalla risma di politicanti da strapazzo che oggi guidano le nazioni europee e che sono ben simboleggiati dai tre occupanti abusivi di Ventotene. Un futuro in cui l'Europa avrebbe garantito ai propri cittadini innanzitutto e al resto del mondo successivamente, prosperità, lavoro, reddito e felicità.
Il Manifesto di Ventotene si conclude auspicando una vera e propria Rivoluzione Europea, e va anche molto nel dettaglio. Per capire quanto siano lontani da questa “Rivoluzione europea i tre personaggi da disegni animati che hanno incautamente occupato Ventotene oggi, basta leggere come Spinelli e i suoi amici intendevano realizzare questa rivoluzione Europea sul piano economico e su quello sociale:
“La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita. La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista; ma, una volta realizzata in pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia.
Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per le forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne sieno vittime. Le gigantesche forze di progresso che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica routinière per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni nei salari, e con gli altri provvedimenti del genere; quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore opportunità di sviluppo e di impiego, e contemporaneamente vanno consolidati e perfezionati gli argini che le convogliano verso gli obbiettivi di maggiore vantaggio per tutta la collettività.
La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale, anche nella coscienza dei lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al presupposto ormai indispensabile dell’unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti:
a) Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori; ad esempio le industrie elettriche, le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo ma che, per reggersi, hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo d’industria sono finora in Italia le siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es.: industrie minerarie, grandi istituti bancari, grandi armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti.
b) Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione, hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi la coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l’azionariato operaio ecc.
c) I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare le possibilità effettive di proseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare in ogni branca di studi, per l’avviamento ai diversi mestieri e alle diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi press’a poco eguali per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze fra le rimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali.
d) La potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessità, con la tecnica moderna, permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio e il vestiario, col minimo di conforto necessario per conservare il senso della dignità umana. La solidarietà umana verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica, non dovrà, per ciò, manifestarsi con le forme caritative sempre avvilenti e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori.
e) La liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere in balìa della politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici anzitutto del grande capitale. I lavoratori debbono tornare ad essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le condizioni cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l’osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, una volta che siano realizzate quelle trasformazioni sociali.”
Questa è l'idea di Europa che gemma dal Manifesto di Ventotene! Una rivoluzione dei cittadini che mette fuori gioco grandi gruppi economici e assicura benessere distribuito e prosperità per tutti. Una visione che è già da anni diventata oggetto di una operazione di "sterilizzazione" che fa diventare il mito di Spinelli vuota retorica priva dei suoi contenuti più rivoluzionari. Oggi Renzi riesce nell'operazione di svuotarlo di qualunque contenuto ed anzi riempirlo di contenuti opposti. Perchè l'idea di Europa che esprimono lui, Hollande e la Merkel, occupanti abusivi di Ventotene, è sempre più lontana dal progetto spinelliano, una Europa in cui i cittadini tedeschi per avere un reddito indecoroso devono entrare nell'umiliante tunnel dell'Hartz 4, e quelli francesi e italiani vengono sempre più precarizzati e destabilizzati da Jobs act e Loi travail varie. Per non parlare di quello che è stato fatto al popolo greco.
Questa operazione di occupazione mediatica di Ventotene puzza. Puzza di renzismo (vuote forme comunicate a palla ma prive di qualunque contenuto). Ma puzza anche di tentativo di di usare il suo immaginario più popolare, per rilegittimare un'Europa che ha perduto l'anima, e che per ritrovarla deve ricominciare dal Manifesto di Ventotene, non da "Ventotene sui Manifesti" (questa battuta finale giuro che non l'ho rubata a Crozza!)
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Per una lettura completa del Manifesto di Ventotene suggerisco questo link:
http://www.presidioeuropa.net/blog/un%E2%80%99europa-libera-unita-il-manifesto-di-ventotene/
Inoltre a questa pagina è possibile leggere una "interpretazione autentica" del Manifesto di Ventotene di Pier Virgilio Dastoli che fu collabotaore di Altiero Spinelli al Parlamento Europe fino ai suoi ultimi giorni.
https://www.facebook.com/piervirgilio.dastoli/posts/10201997380360428
Su Renzi a Ventotene a gennaio 2016:
http://www.europainmovimento.eu/europa/l-europa-smemorata-alla-ricerca-dello-spirito-di-altiero-spinelli.html
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