Diceva
il "Che" che le uniche battaglie che si perdono sono quelle
che non si combattono.
La battaglia
in favore del reddito di cittadinanza è stata lanciata con grande
merito dal Movimento 5 Stelle, e merita di essere combattuta fino in
fondo. Anche se la si dovesse perdere sarebbe comunque una vittoria.
Dico
subito però che limitarsi a depositare un disegno di legge senza una
campagna a tappeto, non è combattere. E' fare il proprio onesto
compitino di legislatore.
Combattere
è un'altra cosa.
Per
combattere c'è bisogno di sensibilizzare l'opinione pubblica,
raccogliere milioni di firme a sostegno di questa proposta di legge,
sbatterle in faccia alle forze della partitocrazia tradizionale
impedire loro di nascondersi dietro al dito ipocrita della mancata
copertura finanziaria e costringerli a gettare la maschera.
A
quel punto anche se la proposta dovesse essere respinta, chi
voterebbe contro se ne assumerebbe la piena responsabilità e
pagherebbe il prezzo in termini di consenso elettorale.
Ecco
una battaglia che vale anche la pena di perdere, e siccome è un suo
cavallo di battaglia da sempre, voglio esortare il Movimento 5 Stelle
a riprendere il vessillo del Reddito di Cittadinanza dalle
retrovie e riportarlo con forza in prima linea.
Magari
in parallelo alla campagna per la raccolta firme mirante a introdurre
il referendum contro l'Euro, una campagna della cui utilità
personalmente continuo a non essere convinto, mentre la proposta per
il reddito di cittadinanza è una vera e propria bomba che mette
in crisi l'attuale strategia non solo italiana ma continentale e
globale intesa a creare disoccupazione e precarietà.
LA
PRECARIETA' COME STRATEGIA PRECISA
Molti
acuti osservatori delle dinamiche economiche recenti ritengono che le
politiche di austerità e rigore finanziario abbiano fallito perchè
hanno creato precarietà e povertà. In realtà, quelle politiche non
hanno affatto fallito, perchè la disoccupazione e la precarietà che
hanno creato non erano affatto un incidente ma l'obiettivo principale
di quelle folli politiche economiche.
Se
non si capisce questo, non si capisce cosa è successo, sta
succedendo e succederà.
Bisogna
cioè capire che la disoccupazione e la precarietà non sono un
incidente di percorso, ma una strategia precisa mirante a creare un
esercito di riserva di disoccupati laureati e disperati, disposti a a
lavorare in squallidi call center per 350 euro al mese con contratti
mensili rinnovabili... e di lavoratori meno qualificati disposti
a lavorare in miniera, in acciaieria o in altre situazioni
umanamente, fisicamente e psichicamente impossibili, (salvo poi
unirsi ai "carnefici" di Confindustria in ridicole marce a
tutela del diritto a un lavoro insalubre e dannosissimo per
l'ambiente, le risorse naturali e la salute dei concittadini).
Analogamente
si inducono paesi ricchi di risorse naturali ma deboli politicamente
a indebitarsi in modo da costringerli ad accettare la svendita del
loro patrimonio a prezzi di saldo.
Si
tratta di un preciso disegno politico dei poteri fossili e finanziari
globali che, attraverso, troike, governi fantoccio e Banche Centrali,
continuano ad imporre modelli economici fallimentari a bassissima
intensità di lavoro, e ad altissima intensità di capitali, a
tutto vantaggio di quella speculazione finanziaria mondiale che viene
gratificata, da media collusi e compiacenti, col
titolo immaginifico di "mercati internazionali".
Questo
spiega perchè i governi non eletti ma nominati, tipo Renzi,
attacchino pesantemente le protezioni sociali proponendo fantasiose
e del tutto VIRTUALI "tutele crescenti" in
cambio di una distruzione di diritti e del lavoro che non
è affatto VIRTUALE ma è invece ben REALE!
Questo
spiega anche i brutali e apparentemente inspiegabili attacchi
ai settori economici ad alta intensità di lavoro (come le
rinnovabili) e le contestuali politiche di favore verso settori a
bassa intensità di lavoro ma altissima intensità finanziaria, come
le infrastrutture dell'energia fossile, l'industria pesante e
l'acciaio.
La
svendita degli "asset" industriali e turistici del Paese
completa il quadro.
Questa
strategia economica suicida per indebitare gli stati, impoverire i
cittadini e creare precarietà, è funzionale all'interesse di pochi
e lesiva dell'interesse della collettività e si articola in due
tempi:
1)
Si incoraggiano gli investimenti pubblici e privati a costi
marginali altissimi, che sono puramente funzionali alla logica
del profitto estremo, e in cui il lavoro diventa un fattore
comprimibile, mentre i beni comuni e la tutela della salute pubblica
diventano "zavorra" spendibile.
2)
Si continua invece a scoraggiare investimenti nell'energia
sostenibile, l'economia circolare, la tutela dei beni comuni, la
risistemazione del territorio per prevenire il dissesto
idrogeologico, la tutela del paesaggio, della cultura,
dell'architettura, dell'archeologia, della storia, del nostro
territorio.
Assistiamo così alla autorizzazione e al cofinanziamento di grandi opere, e grandi centri commerciali che continuano a impermeabilizzare il terreno e accelerare lo sfacelo del territorio e contestualmente, alla burocratizzazione crescente che mette i bastoni fra le ruote agli investimenti nel riassetto idrogeologico, all'energia rinnovabile, alla valorizzazione del patrimonio immateriale.
Assistiamo così alla autorizzazione e al cofinanziamento di grandi opere, e grandi centri commerciali che continuano a impermeabilizzare il terreno e accelerare lo sfacelo del territorio e contestualmente, alla burocratizzazione crescente che mette i bastoni fra le ruote agli investimenti nel riassetto idrogeologico, all'energia rinnovabile, alla valorizzazione del patrimonio immateriale.
L'ECONOMIA
COLLABORATIVA DI RIFKIN
Jeremy
Rifkin nel suo ultimo libro, "La Società a Costo Marginale
Zero", parla di "Commons collaborativo" in
cui milioni di cittadini diventano "prosumers" (produttori
e consumatori insieme) e creano nuove opportunità secondo un modello
economico distribuito che sostituisce gradualmente il capitalismo di
mercato, con milioni di piccole e piccolissime aziende in rete
fra di loro, in una economia circolare in cui la materia viene
riutilizzata e riciclata, e l'energia e il cibo vengono prodotti
secondo modelli solari rispettosi dei principi della termodinamica e
delle leggi della biosfera.
In
questo nuovo quadro economico sostenibile, collaborativo e
distribuito, l'entropia dei processi produttivi (inquinamento,
disordine, alterazione del clima, ingiustizia sociale) viene
progressivamente ridotta a (quasi) zero, e il lavoro
dell'uomo, (che nella seconda rivoluzione industriale, era stato
svilito, mercificato e sostituito dal quello della macchina e del
petrolio), ritorna a creare capitale sociale anzichè capitale
finanziario.
Queste
brevi considerazioni ci permettono di esaminare la proposta del
Reddito di Cittadinanza anche alla luce delle sue implicazioni
sociali per migliorare il testo della proposta di legge
recentemente introdotta e divulgarla con maggior forza.
GENESI
STORICA DEL REDDITO DI CITTADINANZA
Fra
i vari gruppi e frange del grande movimento studentesco del
1977, ve n'era uno particolarmente originale e autoironico che
si era autodenominato "Indiani Metropolitani”,
e che aveva al punto primo del suo programma una immaginifica
proposta: “La retribuzione
dell’ozio
giovanile”.
Questa
proposta mi è ritornata in mente con forza da quando il tema del
Reddito di Cittadinanza è stato
impetuosamente portato alla ribalta dell’agenda
politica italiana dal Movimento 5 Stelle.
Tale
proposta, recentemente sostanziatasi in un articolato progetto di
legge (consultabile al link in fine post) ha destato una
certa perplessità in
relazione all'art. 20 (reperimento delle fonti finanziamento) e
all'articolo 9 (condizioni di attribuzione ed erogazione).
1977. Bologna. Indiani Metropolitani. |
Dico
preliminarmente che le critiche in merito al finanziamento mi
lasciano perplesso perchè mi paiono chiaramente strumentali: quasi
tutti i paesi europei insigniti della tripla A da parte
delle agenzie di rating, applicano qualche forma di sostegno al
reddito senza per questo essere finiti in bancarotta.
UN
REDDITO DI CITTADINANZA CON ... L'ANIMA
Le mie riflessioni invece si indirizzano verso le condizioni di attribuzione erogazione e mantenimento del beneficio, che a mio avviso peccano di eccesso di meccanicità e potrebbero essere migliorate.
Le mie riflessioni invece si indirizzano verso le condizioni di attribuzione erogazione e mantenimento del beneficio, che a mio avviso peccano di eccesso di meccanicità e potrebbero essere migliorate.
Gli
articoli 7 e seguenti della proposta di legge infatti,
stabiliscono regole formali per la concessione e il mantenimento del
beneficio, in base a una dettagliata serie di condizioni che
disciplinano il rapporto fra lavoro e non lavoro (=“ozio”),
ma lo fanno, a mio avviso, in un modo che definirei "senz'anima".
Voglio
dire che non bisogna mai dimenticare la complessa condizione umana in
cui si trova chi è costretto a una inattività forzata
(specie se giovane e con scarsa o nulla esperienza lavorativa
precedente).
Questa
situazione, genera non solo una indigenza materiale ma anche
tutta una serie di contraccolpi di carattere psicologico, primo fra
tutti una forte insicurezza personale.
Mi spiego meglio ricorrendo alle parole del grande sociologo Luciano Gallino, che ci ricorda che "il lavoro è stato soggetto a una progressiva mercificazione e "flessibilizzazione", per adeguarsi alle esigenze di mobilità estrema dei capitali sul mercato finanziario, e conseguentemente i lavoratori si sono dovuti adattare alla corrispondente "precarizzazione".
Mi spiego meglio ricorrendo alle parole del grande sociologo Luciano Gallino, che ci ricorda che "il lavoro è stato soggetto a una progressiva mercificazione e "flessibilizzazione", per adeguarsi alle esigenze di mobilità estrema dei capitali sul mercato finanziario, e conseguentemente i lavoratori si sono dovuti adattare alla corrispondente "precarizzazione".
Questo
fenomeno non è privo
di incidenza sull'umore e sul carattere dell’essere
umano: da tante persone il lavoro precario è percepito
come una ferita dell’esistenza, una fonte immeritata di
ansia, una diminuzione dei diritti di cittadinanza che si davano per
scontati…"
Nella
intuizione di un reddito di "Cittadinanza", c’è molto
di più che
non la semplice azione meccanica di assistenza materiale, quasi una
forma di elemosina, almeno nella interpretazione dei più rigidi
economisti ultraliberisti: c’è l'intuizione
che il sostegno al reddito genera il senso di appartenenza ad una
comunità perchè
chi rimane indietro si sente aiutato dalla comunità a cui
appartiene.
LA
CITTADINANZA ATTIVA DI UN MONDO NUOVO
C’è l’idea
di un nuovo mondo nel quale si ricompone il rapporto fra uomo e uomo.
E quello fra esseri umani e le risorse naturali, all'insegna del
soddisfacimento sobrio
delle esigenze materiali dell'umanità, che ritorna così al
centro dell’azione
della Polis.
Fino
ad oggi questo rapporto si è ricomposto invece in base alla logica
del profitto estremo, che al centro dell'azione della Polis, ha
invece posto valori materiali.
In
questo rapporto di comunità, evidentemente il dare e l’avere
non possono essere considerati separati o intermittenti, o si rischia
che il Reddito di Cittadinanza diventi sterile e cronico
assistenzialismo.
Infatti
se è vero che una comunità deve aiutare chi rimane indietro, vorrei
ricordare "kennedianamente" che è altrettanto vero che
l'obbligo è reciproco e anche chi rimane indietro deve aiutare la
sua comunità.
Naturalmente
tale aiuto deve essere commisurato alle capacità e
ai mezzi personali ma non è illogico
aspettarsi che il destinatario del reddito di cittadinanza possa
contribuire in qualche modo a migliorare la società che
lo aiuta. Kennedy introdusse il "Community Service" a cui
tutti gli studenti dovevano sottoporsi come parte del loro percorso
formativo. Oggi le cose sono cambiate ma l'idea di una sorta di
"community service", magari aggiornato alla sensibilità
dei nostri tempi, è ancora valida. Prendiamo ad esempio il
caso del “guerrilla
gardening” che
ormai coinvolge decine di migliaia di giovani e meno giovani, che
"adottano" e fanno rifiorire le derelitte aree verdi delle
nostre città, recando
ristoro alle comunità che
le condividono.
Un
fenomeno spontaneo di lavoro volontario per la comunità in
rapida espansione in tutta la penisola, e che ben simboleggia la
nuova e crescente coscienza ecologica ed empatica dei nostri tempi.
Altri esempi si possono fare (e li faremo dopo).
Per
adesso però vorrei sottolineare che il governo che offre il
Reddito di Cittadinanza deve al tempo stesso creare lavoro con
strategie efficaci, possibilmente ben al di la di quanto previsto
dall'articolo 10.3 del progetto di legge, che si limita a prevedere
il compito per "le agenzie per l'impiego di concerto con i
comuni e le agenzie del demanio" di creare lavoro in
non meglio precisati settori innovativi.
Proviamo
dunque a prevedere in modo meno generico quali settori creino lavoro
tramite l'innovazione.
I
distretti della stampa 3D? L'agricoltura biologica di qualità? Le
rinnovabili integrate nei processi produttivi aziendali? L'economia
circolare? La cultura? I servizi informatici avanzati?
Il Club della Stampa 3D della Camera di Commercio di Lilla, uno dei 200 primi progetti TRI previsti nel Master Plan del Nord Pas de Calais |
Insomma
il lavoro va creato con strategie efficaci, adottando modelli
economici ad alta intensità di
lavoro, ben al di la dei poteri e dei compiti dei "centri per
l'impiego, i comuni e le agenzie del demanio".
Le
strategie economiche le fanno il governo e le regioni.
Sopratutto
il governo.
E
infatti per reagire alla disoccupazione, il governo Renzi si è
inventato il Jobs Act.
E'
sufficiente? Va nella direzione giusta?
Assolutamente
no. Vediamo perchè.
Tecnicamente
il Jobs Act è un decreto del Ministero del Lavoro.
Dal
punto di vista dei contenuti, tale decreto è ispirato ai dogmi
liberisti che per creare lavoro bisogna rendere più facile i
licenziamenti e agire sulla leva fiscale.
E
infatti esso precarizza quel poco di lavoro stabile che è
sopravvissuto a decenni di follia utraliberista e fornisce incentivi
fiscali all'assunzione (anche l'articolo 17 del progetto di legge sul
Reddito di Cittadinanza li prevede).
A
mio avviso qui però c'è un errore concettuale.
Il
lavoro non si crea per decreto ma per "dinamiche di mercato".
Se
le aziende hanno contratti assumono, che ci sia o no l'articolo 18.
Se
invece non ne hanno perchè magari (come adesso) siamo in un periodo
di stagnazione della domanda, deflazione e recessione, possiamo
abolire tutti gli articoli 18 che vogliamo, introdurre tutti gli
incentivi e le defiscalizzazioni alle nuove assunzioni che vogliamo,
ma non creeremo nuovi posti di lavoro, perchè le aziende
semplicemente NON AVRANNO BISOGNO NE' POSSIBILITA' DI
ASSUMERE.
Per
dare lavoro alle aziende bisogna cambiare le politiche economiche non
quelle del lavoro.
In
altre parole per creare lavoro non va riformato il mercato del
lavoro ma la struttura dell’economia.
E
questo non è non il compito del Ministro del Lavoro, ma del Ministro
dello Sviluppo Economico (caro Renzi).
Questa
è una vecchia trappola della sinistra "modernista" europea
alla Tony Blair che continua a pensare che vanno cambiate le
politiche sociali ma non le strategie economiche del Paese.
I
partiti neolaburisti con consiglieri tipo Antony Giddens, Pietro
Ichino o Goram Gutgeld, non riescono proprio ad arrivarci che il
modello economico capitalistico è arrivato ai limiti della sua
stessa efficienza e che bisogna cambiare modello riorientando le
scelte economiche verso la creazione di lavoro nell'economia reale e
non verso la creazione di valore finanziario / profitto nell'economia
virtuale.
Una
direzione che queste nuove politiche economiche potrebbero prendere è
quella di favorire la nuova economia della condivisione dal basso a
bassi costi marginali che valorizzi il territorio, come suggerisce il
manifesto Territorio Zero (verso una società a
emissioni, rifiuti e chilometro zero, www.territoriozero.org).
Territorio
Zero, ispirato alle visioni di Rifkin messe in sinergia con
quelle di altri
due grandi pensatori del nostro tempo, Petrini e
Connett, ci ricorda che in uno scenario economico basato sul rispetto
delle risorse naturali e dei principi della termodinamica, si
alza enormemente l’intensità di
lavoro rispetto
allo scenario esistente basato sullo sfruttamento delle fonti fossili
e concentrate e la dissipazione delle risorse naturali, in cui l’uomo
ha una incidenza inferiore a quella del capitale, da cui discende la
crisi occupazionale che stiamo vivendo, con conseguente
concentrazione delle ricchezze in pochissime mani su scala nazionale,
europea e mondiale.
In
questo nuovo "Scenario Zero”
infatti, si declinano a livello locale quelle
politiche di Terza Rivoluzione Industriale a basso costo marginale
auspicate da Jeremy Rifkin nei suoi ultimi due libri, "La terza
rivoluzione industriale" (2012), e La Società a Costo Marginale
zero (2014).
E'
una nuova economia dal basso ispirata a un modello distribuito
anzichè centralizzato, che crea comunità e riforma completamente la
società creando ricchezza distribuita e lavoro mediante politiche
virtuose sul piano energetico, dei consumi e dell'agricoltura,
mediante la sharing economy.
Il
modello distribuito funziona senza grandi impianti e grandi
insediamenti produttivi, perchè è basato sulla creazione e la messa
in rete di milioni di piccole centrali produttive di energia
rinnovabile operate da milioni di produttori/consumatori, centinaia
di migliaia di centri di raccolta e informazione per la chiusura
virtuosa del ciclo dei prodotti e l’eliminazione
del concetto stesso di rifiuto, il ritorno ad una agricoltura di
qualità su
piccola e piccolissima scala, interconnessa con le comunità locali
attraverso la moltiplicazione esponenziale dei mercati di vendita
diretta ("Farmer market") dei gruppi d'acquisto (“Community
Supported Agriculture”)
e della modernizzazione e decarbonizzazione delle attività di
produzione e di trasformazione agricola.
Questo
modello distribuito è ad
alta intensità di
lavoro e a bassa
intensità di
capitali. Esso dunque remunera il lavoro e non il capitale (che
spesso si sostanzia in rendita parassitaria e speculativa disconnessa
dalla sottostante economia reale), e permette di disinnescare a
livello locale quelle politiche economiche irresponsabili spesso
innescate a livello nazionale o europeo, che conducono a una
depressione dei consumi e della ricchezza circolante e a un aumento
della ricchezza accumulata e della disoccupazione.
Jeremy
Rifkin già nel
1985 con il libro “La
fine del lavoro” in
cui parlò per
primo di "jobless
recovery" (ripresa
senza occupazione) cosa che suscitò l’ironia
dei soloni delle scuole economiche ultraliberiste, secondo i cui
dogmi la crescita genera sempre occupazione.
Essi non si erano accorti che un insieme di fattori dovuti alla
tecnologia e alla estremizzazione della produttività hanno creato la
tempesta perfetta in cui la ripresa senza occupazione
si è effettivamente
manifestata.
Rifkin
ha così ottenuto un amaro e tardivo riconoscimento della sua
preveggenza.
La
verità infatti,
diciotto anni più tardi, è di
tutta evidenza: i vecchi modelli economici basati sull'energia
convenzionale, le grandi centrali e le grandi fabbriche sono arrivati
al limite della loro efficienza produttiva perchè ormai hanno una
efficienza energetica aggregata (= lavoro utile per unità di energia
impiegata) bassissima e non creano più lavoro.
In
altre parole non funzionano più.
Sono
i nuovi modelli, quelli di Territorio Zero, che creano occupazione e
PIL distribuito.
E
quindi funzionano.
Lavora
molta più gente
in un sistema comunale “rifiuti
zero” ,
con la soppressione della raccolta tramite cassonetti e la messa in
campo di una rete effettivamente funzionante di "banche del
rifiuto e del riuso", laboratori
di riparazione, miniere urbane, circuiti di rivendita dell’usato,
campagne di informazione alla cittadinanza per acquisti consapevoli,
che non chiudendo i ciclo dei consumi con discariche e inceneritori.
Lavora
molta più gente
in uno scenario energetico locale dove collaborano decine di migliaia
di piccole e medie imprese per offrire ad altre imprese, ai
cittadini, agli enti locali, alla comunità,
servizi energetici integrati ad alto valore aggiunto (impianti
rinnovabili di piccola taglia, sistemi di accumulo energetico a
idrogeno e d’altro
tipo, reti intelligenti e domotica, costruzioni a energia
positiva, raffrescamento
solare, irrigazione fotovoltaica etc), che non nella produzione di
energia equivalente
con il modello delle grandi centrali da fonti convenzionali.
Lavora
molta più gente
in uno scenario di agricoltura di filiera corta locale che
nell'attuale modello di filiera lunga con macroscopici impianti
agroindustriali e speculazioni finanziarie sulle derrate alimentari.
Lavora
molta più gente nella manifattura 3D con piccole imprese locali in
rete fra di loro in cui si recupera lo spirito artigianale che è la
forza del nostro paese, che non nell'industria pesante, le
acciaierie, e il manifatturiero tradizionale.
Lavora molta più gente chiudendo il ciclo dei consumi in modo virtuoso (=senza rifiuti) secondo i canonindell'economia circolare (centri del riuso, laboratori di riparazione, negizi dell'usato, riciclo di filiera corta) che non chiudendo il ciclo in modo lineare con discariche e inceneritori.
Lavora molta più gente chiudendo il ciclo dei consumi in modo virtuoso (=senza rifiuti) secondo i canonindell'economia circolare (centri del riuso, laboratori di riparazione, negizi dell'usato, riciclo di filiera corta) che non chiudendo il ciclo in modo lineare con discariche e inceneritori.
Stiamo
però parlando
di mestieri e professionalità che
per la maggior parte non esistono ancora.
Per
crearle bisogna mettere in campo una nuova politica economica per
avviare un grandissimo sforzo di riconversione produttiva e di
formazione professionale che sappia giocare d'anticipo sulla chiusura
inevitabile delle grandi centrali termoelettriche inquinanti ed
obsolete, e delle grandi fabbriche, provvedendo alla
riqualificazione del
relativo personale verso i mestieri della nuova energia e della nuova
economia.
In
un futuro prossimo (che per molti versi è già qui), invece
di un ingegnere petrolifero o di un esperto di agricoltura intensiva,
ci sarà bisogno
di venti progettisti, installatori e manutentori di fotovoltaico
tradizionale e organico, solar cooling, mini eolico
verticale, elettrolizzatori a idrogeno collegati in una rete di smart
grid, manodopera locale riqualificata verso modelli de carbonizzati e
biologici nell'agricoltura di prossimità con sistemi
di irrigazione fotovoltaica, refrigerazione solare, centri di
compostaggio e mini impianti di biogas per i liquami aziendali, ma
anche nuovi modelli di consumo locale tutti ancora da inventare (e
dove esistono, da estendere). Invece di un impiantista per progettare un impianto di TMB (Trattamento Meccanico Biologico) o un inceneritore o un tritovagliatore, ci saranno decine di posti di lavoro nei centri del riuso e della riparazione, nel riciclo di filiera corta collegato con la manifattura additiva, di comunicatori sociali che organizzano e conducono campagne per cambiare i comportament dei consumatori riorientandoli verso l'acquisto di beni senza imballaggi o vuoti a perdere, verso il riuso, il riciclo e la prevenzione del rifiuto con tante nuove imprese per il riuso e l'attivazione delle filiere locali e del riciclo, delle pratiche commerciali con vuoti a
rendere e senza vuoti a perdere, delle comunità della condivisione
economica e sociale, della valorizzazione dei beni comuni e
degli spazi urbani, della risistemazione del
territorio, dell'assistenza sociale, e della cultura e
informazione.
Queste
attività -che sono i mestieri di
Territorio Zero- creano ricchezza distribuita ma non
hanno ancora raggiunto la maturità produttiva e il loro
espletamento avviene tramite figure professionali nuove che per il
momento vengono considerate più o meno prestazioni
volontarie o remunerate secondo meccanismi non inseriti nel mercato
del lavoro ufficiale.
Perchè
non accelerare i tempi di questa fase di transizione creando uno
statuto intermedio metà lavoro e metà volontariato, da proporre in
contropartita della percezione del “Reddito di
Cittadinanza" perchè questa Cittadinanza invece che "oziosa"
diventi "Attiva” ?
Ecco
il piano per battere la disoccupazione.
Ecco
cosa dovrebbe fare un governo che volesse effettivamente creare
lavoro!
Altro
che Jobs Act e riforma del mercato del lavoro o abolizione
dell'articolo 18!
Spiace
constatare che il governo Renzi stia invece andando nella direzione
totalmente opposta.
Sta
stroncando i settori che producono occupazione (come le rinnovabili)
e sta incoraggiando al massimo grandi opere e energia fossile.
Dunque
non si può fare proprio niente?
Non
è detto. Anche anche nella totale insensibilità del governo, la
battaglia per il reddito di cittadinanza si può coniugare con
strategie a livello locale per la creazione di lavoro nella nuova
economia collaborativa in cui i Comuni e le amministrazioni locali
possono adottare strategie "zero" e creare lavoro
stimolando l'economia locale.
Jeremy Rifkin presenta il Master Plan TRI a Lilla. 10.10.13 |
Non
si tratta di sogni o fantasie.
Prato sintetico da copertoni riciclati a Cauchy à la Tour, Nord Pas de Calais |
Sta
già succedendo. In alcuni posti più rapidamente che in altri, come
nella regione francese del Nord Pas de Calais (4 milioni di
abitanti) dove è stato elaborato nel 2013 ed è oggi in corso
di attuazione un ambizioso "Master Plan" che prevede
la decarbonizzazione totale della regione entro il 2050, con un
saldo occupazionale netto di 165.000 posti di lavoro (20.000 posti di
lavoro in più all'anno!).
Per
realizzare questo piano, sono nate già oltre 200 imprese della nuova
economia, da quelle che riciclano copertoni per fare campi in erba
sintetica a quelle che creano spazi di co-working in vecchie
fabbriche ristrutturate in cui i giovani start-upper possono pagare
l'affitto anche in lavoro.
Dai
primi autobus a idrogeno sperimentali per il servizio pubblico a
Dunquerque al crowd funding per il bike sharing elettrico.
(per
approfondire sul progetto di Terza Rivoluzione Industriale in Francia
si veda il link in fine post).
Si
tratta di abbracciare la filosofia "zero" (e
francamente non vedo che altro si possa fare in una situazione in cui
le fonti convenzionali d’energia
e le risorse naturali sono prossime all'esaurimento).
Gli
enti locali che sono più vicini
al cittadino, hanno il dovere etico prima ancora che giuridico di
garantire la valorizzazione delle proprie risorse naturali e
energetiche.
Attenzione,
ho detto valorizzazione, non sfruttamento.
Le
risorse naturali vanno utilizzate in modo da permettere la loro
rigenerazione in tempi compatibili con i cicli umani. In modo che
possano essere preservate per future generazioni.
Poi
bisogna mettere in campo piani di riqualificazione professionale e di
avviamento ai "mestieri di Territorio Zero" per tutti
coloro che godano del "Reddito di Cittadinanza", evitando
il corto circuito fra inoccupazione e inesperienza, che tiene fuori
dal mercato del lavoro centinaia di migliaia di risorse umane che si
avvierebbero altrimenti a un futuro di "ozio".
"L'ozio",
dicevano i latini “è padre
di tutti i vizi”.
Io
aggiungerei che è anche
fratello della disperazione.
Ecco
perchè alle politiche di assistenza vanno affiancate politiche
creatrici di lavoro e ricchezza secondo la filosofia "zero",
in modo che il Reddito di Cittadinanza possa diventare l'occasione
per andare oltre la semplice soddisfazione di un bisogno
materiale dell'individuo.
Esso
potrà diventare l'occasione di "fare comunità", e di
diffondere speranza.
Chi
si opporrà al reddito di Cittadinanza di Comunità, se ne assumerà
la piena responsabilità davanti ai propri elettori.
Non
è una battaglia che vale davvero la pena di combattere, ed
eventualmente anche di perdere?
Link di approfondimento:
sulla proposta di legge sul reddito di cittadinanza: http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/milano/area_stampa_1/comunicati_stampa/PROPOSTA%20DI%20LEGGE%20reddito%20di%20cittadinanza.pdf
Sul progetto nel Nord Pas de Calais in Francia:http://www.latroisiemerevolutionindustrielleennordpasdecalais.fr/2014/10/16/150-initiatives-troisieme-revolution-industrielle/