domenica 4 ottobre 2020

LUCI ED OMBRE DELLA STRATEGIA EUROPEA PER L'IDROGENO.



Oggi 5 ottobre, l' idrogeno verde è di scena al Senato in un mega evento organizzato dal Sen. Girotto, Presidente della Commissione Industria, Commercio e Turismo.



Ma cos'è l'idrogeno verde e quali degli oratori di questo sontuoso convegno sono davvero in grado di parlarne con competenza, cognizione di causa e onestà intellettuale?

La seconda domanda è quella più facile: di tutto questo altisonante e illustre parterre, quello che veramente si deve ascoltare è Nicola Conenna. 

Nicola sull'idrogeno verde si spende professionalmente e anche personalmente da prima che  Rifkin pubblicasse il famoso libro sull'idrogeno (Economia all'Idrogeno, Mondadori, 2002).


La risposta alla seconda domanda è molto più complessa e presuppone la lettura di un intero articolo scritto da me e da Mario Agostinelli. Ecco il link

buona lettura!

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venerdì 17 luglio 2020

IL CETRI: DIECI ANNI DI LOTTE PER LA LIBERTA' LA PACE E LA DEMOCRAZIA ENERGETICA


In occasione della assemblea annuale 2020, il CETRI celebrerà con un cocktail sul barcone di Mare Vivo, e dopo con una cena sul barcone del ristorante Baja (entrambi sul Lungo Tevere Arnaldo da Brescia a Roma) , i suoi primi dieci anni. L’evento si articolerà con interventi dal vivo e videoregistrati, con introduzione del presidente Angelo Consoli, in veste anche di direttore europeo di Jeremy Rifkin, e conclusioni di Antonio Rancati, Coordinatore Generale e verrà trasmesso in diretta TV sul canale 78 del digitale terrestre di TeleAmbiente e reso disponibile sul web e diverse pagine social dalle ore 21,00 di giovedì 16 luglio 2020.

Ecco la nota esplicativa del Presidente Angelo Consoli
Esattamente 10 anni fa, il 16 luglio 2010, nasceva il CETRI-TIRES per iniziativa di un gruppo di esperti in vari campi della green economy ispirati dalla visione delle teorie sulla Terza Rivoluzione Industriale dell’economista americano Jeremy Rifkin, che auspicava un nuovo mondo basato su un modello economico distribuito, democratico, solare e digitale, e il superamento dell’attuale sistema energetico e economico fossile, ambientalmente e socialmente devastante, centralizzato e verticistico, con il definitivo raggiungimento da parte dell’essere umano della sovranità energetica, alimentare ed economica.
In questi dieci anni sono successe cose un tempo inimmaginabili che hanno portato il mondo in questa direzione. Sono nate nuove industrie e nuove figure professionali conseguenti al cambio di modello energetico e il mondo è cambiato andando sostanzialmente nella direzione prevista da Jeremy Rifkin. Ma è venuto il momento che tale cambiamento passi alla velocità superiore perché l’emergenza globale del Covid19 ha evidenziato come quel modello economico fossile da tempo zoppicante, sia totalmente insufficiente a rispondere alle sfide economiche sociali, ambientali e sanitarie che stiamo affrontando, perché è legato ad una visione del mondo che genera degrado ambientale, crisi climatica e malessere sociale e umano. Il CETRI-TIRES che nasceva per promuovere questo modello economico conforme alla visione di Rifkin, in questi 10 anni non è stato testimone passivo ma propulsore attivo di questo cambiamento.
Abbiamo partecipato a importanti momenti di questo cambiamento e contribuito alla sua elaborazione a vari livelli, da quello europeo, a quello nazionale a quello regionale e comunale assistendo industrie e enti locali virtuosi e interessati a porsi alla guida del cambiamento anziché esserne trascinati o travolti. Abbiamo assistito alla nascita delle prime comunità energetiche e favorito il loro riconoscimento nella legislazione comunitaria.
In conseguenza della decisione della Commissione Europea Ursula von der Leyen di abbracciare la visione globale del Green New Deal, proposta da Jeremy Rifkin come evoluzione della Terza Rivoluzione Industriale all’orizzonte del 2050, abbiamo creato una Academy per il Green New Deal che ci permetterà di assolvere a questo compito in modo più intenso e strutturato nei prossimi dieci anni decisivi.
La celebrazione del decimo anniversario del CETRI-TIRES è dunque l’occasione per un salto quantico nella nostra azione attraverso il confronto fra i diversi attori in ciascuno dei differenti settori di attività e la condivisione della nostra comune visione per il futuro, come motore del cambiamento per un Green New Deal globale.

mercoledì 3 giugno 2020

NEXT GENERATION EU: come cambiano le politiche economiche europee con il Recovery Plan contro la crisi della pandemia Coronavirus.


La pandemia di Coronavirus COVID 19 ha innescato una tempesta perfetta che  stronca in modo definitivo un modello economico che era già profondamente in crisi di suo: il modello economico ultra-liberista e speculativo che ha fatto prevalere nel corso degli ultimi 20 anni gli interessi dell'intermediazione finanziaria parassitaria basata sull'economia fossile sulle esigenze delle imprese e dell'economia reale. In questo festival dell'economia virtuale hanno prevalso modelli e parametri di misurazione come i cosiddetti "criteri di stabilità" della zona euro che non  avevano alcun rapporto con le esigenze dell'economia e della società, ma erano basati su assunzioni puramente teoriche di provenienza della cosiddetta scuola di Chicago (quella dell'economista Milton Friedman) che utilizzavano indicatori arbitrari e puramente aritmetici come quelli relativi al mantenimento di un determinato rapporto fra debito/deficit annuale e PIL di un Paese.
La crisi pandemica ha fatto crollare il PIL e fatto esplodere le esigenze di spesa pubblica nella sanità, l'assistenza sociale, l'istruzione. Quindi ha fatto definitivamente saltare questi parametri per cui oggi, in presenza della crisi da Coronavirus, nessun paese al mondo sarebbe in grado di rispettare il rapporto del 60% fra debito e PIL o del 3% fra deficit annuale e PIL. Di conseguenza, nessun Paese potrebbe essere considerato "virtuoso" nel dopo Coronavirus che fa crollare un PIL che secondo i parametri di stabilità invece dovrebbe cescere in continuazione e (tempesta perfetta!) fa esplodere una spesa pubblica che invece secondo i medesimi parametri dovrebbe ridursi il più possibile. Tanto per dirne una, il rapporto deficit PIL italiano che già era molto a rischio prima della crisi, oggi schizzerebbe ben oltre il previsto 3%, perchè il PIL è crollato del 10% e sicuramente scenderà ancora mentre la spesa pubblica salirà di una percentuale simile (pensiamo solo alla sanità o alle esigenze della scuola dove distanziamento sociale impone un raddoppio se non una triplicazione delle spese per il personale e le aule). In pratica il Coronavirus ci porta ad un rapporto Deficit annuale/PIL superiore di 4 o 5 volte al massimo consentito dagli astratti e arbitrari parametri europei. A questo punto, o l'Europa modifica i suoi parametri ammettendo di aver sbagliato a adottarli, oppure l'Euro salta. tanto è vero che ai primi di marzo, l'UE decise la sospensione dei suddetti parametri, perchè era diventato chiaro che essi erano assolutamente inadeguati a definire la stabilità di un paese colpito dalla gravissima crisi pandemica. E anche se si tratta solo di una sospensione, essa va interpretata come una resa incondizionata delle teorie economiche tradizionali "impiccate" ai totem del fanatismo ultraliberista, di fronte alla realtà. Ma l'Europa non si è limitata a sospendere i propri principi economici per contrastare la crisi determinata dalla pandemia. Da un lato ha provveduto a creare appositi fondi per la disoccupazione (SURE) e per la spesa sanitaria (linea di credito senza condizionalità del MES) e dall'altro ha elaborato un piano appena presentato a Bruxelles, che va sotto il nome immaginifico di NEXT GENERATION EU, e che è molto complesso e articolato. Per il momento non stiamo qui a sindacare su questo piano o a giudicarlo , ma vogliamo dare un contributo per capirlo, e per questo raccomandiamo la lettura di questo comprensivo articolo di Renzo Consoli, corrispondente da Bruxelles per Aska News.
Qui il link all'articolo di cui pubblico ampi stralci di seguito.
http://www.askanews.it/economia/2020/05/31/il-piano-di-rilancio-ue-tutto-quello-che-c%C3%A8-da-sapere-pn_20200531_00039/?fbclid=IwAR0GaTAG3BHMkAYpoFT11Gsk7NjioWGJez0YX6NdJnRsP3Lcy9S3SCI0yxU
Tutto quello che c’è da sapere sul piano di rilancio Ue
Bruxelles, 31 mag. (askanews) –

Oltre 3.000 pagine di documenti e proposte legislative e finanziarie, per un totale di 1.850 miliardi di euro da erogare con il prossimo periodo di programmazione del Quadro finanziario pluriennale comunitario 2021-2027 (Qfp), di cui 1.100 miliardi per il bilancio Ue ‘normale’, e 750 miliardi raccolti sul mercato con euro obbligazioni, che finanzieranno 500 miliardi di sovvenzioni e 250 di possibili prestiti agli Stati membri. Bisogna cominciare da queste cifre per capire l’entità e la portata del piano di rilancio economico dopo la crisi del Coronavirus, che la Commissione europea ha varato con la sua proposta del 27 maggio e precisato meglio nei dettagli nei giorni successivi, anche se il quadro è ancora incompleto.
Inoltre, l’Esecutivo comunitario ha proposto anche una ‘soluzione ponte’ per cominciare già nel 2020 a sostenere gli Stati membri e le imprese, con una revisione del bilancio in corso che prevede lo stanziamento di 11,5 miliardi di euro aggiuntivi.
‘Next Generation EU’
Nel pacchetto di proposte della Commissione, il piano di rilancio dell’economia da 750 miliardi di euro, chiamato ‘Next Generation EU’, consiste sostanzialmente in un bilancio complementare che va ad aggiungersi al bilancio comunitario 2021-2027 da 1.100 miliardi, con due caratteristiche specifiche. La prima è la sua fonte di finanziamento, che provenendo dall’emissione di titoli di debito sui mercati finanziari è esterna (in inglese ‘externally assigned revenue’) rispetto alle normali fonti (le ‘risorse proprie’) del bilancio. La seconda è la durata temporanea dello strumento, un ‘veicolo finanziario’ che concentrerà le erogazioni dei fondi ai beneficiari nei primi anni (‘front loading’) del periodo di programmazione, e si esaurirà entro il 2024.
I tre pilastri del piano di rilancio
‘Next Generation EU’ contiene tre ‘pilastri’: il primo riguarda il sostegno diretto agli Stati membri, e contiene quattro diversi fondi: 1) il Fondo di rilancio vero e proprio, chiamato ‘Recovery and Resilience Facility’, da 310 miliardi di euro in sovvenzioni, più la possibilità di fornire prestiti fino a 250 miliardi; 2) i fondi di coesione aggiuntivi di ‘React-EU’, da 50 miliardi; 3) 15 miliardi aggiuntivi di fondi per lo ‘Sviluppo rurale’ della Poitica agricola comune (Pac); 4) 30 miliardi aggiuntivi per il ‘Just Transition Fund’, il fondo che assisterà nella transizione ecologica delle aree economiche fortemente dipendenti dal carbone, che in totale ora disporrà di 40 miliardi.
Il secondo pilastro è diretto al sostegno alle imprese, con il forte coinvolgimento della Banca europea per gli investimenti (Bei) attraverso la concessione di garanzie di prestiti con il rafforzamento del programma InvestEU (il successore del Piano Juncker), la nuova ‘Strategic Investment Facility’ per le filiere strategiche per l’autonomia dell’Ue, la catena del valore e la sicurezza degli approvvigionamenti vitali. Inoltre, il nuovo ‘Solvency Support Instrument’ fornirà garanzie, attraverso gli intermediari, per la ricapitalizzazione delle imprese che sarebbero rimaste sane e vitali se non ci fosse stata la pandemia.
Il terzo pilastro riguarda ‘le lezioni apprese’ dalla crisi del Covid-19 e le sfide strategiche per l’Ue, e contiene il nuovo piano ‘EU4Health’ con cui si aggiungono 7,7 miliardi di euro al magro bilancio precedentemente previsto per il programma Ue per la salute, un rafforzamento da 2 miliardi di euro del programma ‘rescEU’ del Meccanismo di Protezione civile dell’Unione, più un cospicuo finanziamento aggiuntivo da 13,5 miliardi al programma comunitario per la Ricerca e sviluppo ‘Horizon Europe’ (che arriverà così in totale a 94,4 miliardi). Infine, è previsto un rafforzamento da 10,5 miliardi dell’azione esterna (politica di vicinato, cooperazione e sviluppo e aiuto umanitario).
Sovvenzioni e prestiti
I fondi del Piano di rilancio saranno erogati per due terzi (500 miliardi, a prezzi costanti del 2018) sotto forma di sovvenzioni a fondo perduto (‘grant’) e per un terzo (250 miliardi, sempre a prezzi costanti del 2018) saranno disponibili come prestiti agevolati. La cifra di 500 miliardi in sovvenzioni coincide con quella che era stata chiesta dal piano franco-tedesco del 18 maggio, a cui chiaramente la proposta della Commissione si ispira, almeno in parte.
Dove andranno le sovvenzioni
Bisogna però fare una distinzione: dei 500 miliardi di sovvenzioni, 405 saranno assegnati direttamente agli Stati membri, attraverso quattro diversi programmi (‘Recovery and Resilience Facility’, 310 miliardi, ‘ReactEU’ 50 miliardi, ‘Just Transition Fund’, 30 miliardi, ‘Sviluppo rurale’, 15 miliardi), secondo una chiave di ripartizione che prende in conto i danni economici e sociali subiti da ogni paese a causa della pandemia e del lockdown. Gli altri 95 miliardi andranno a finanziare interventi per i quali non è possibile una pre-allocazione per paese: 28,2 miliardi con i finanziamenti di ‘Horizon Europe’ (il programma comunitario per la Ricerca, 13,5 miliardi aggiuntivi) il nuovo programma per la salute ‘EU4Health’ (7,7 miliardi), il rafforzamento del Fondo di emergenza ‘rescEU’ (2 miliardi aggiuntivi) per le catastrofi naturali, comprese le epidemie, e l’azione esterna (15,5 miliardi); gli altri 66,8 miliardi circa saranno impiegati nelle garanzie per i prestiti alle imprese dei programmi  ‘InvestEU’ e ‘Strategic Investment Facility’, o per sostenere le ricapitalizzazioni delle aziende sane, ma cadute in crisi a causa del Covid-19, con il ‘Solvency Support Instrument’.
I prestiti
Oltre alle sovvenzioni, gli Stati membri avranno a disposizione una riserva di prestiti fino a 250 miliardi di euro a cui potranno attingere, se ne avranno bisogno per finanziare i loro investimenti e le loro riforme. I prestiti saranno erogati, su richiesta, a condizioni molto favorevoli (stesse cedole, stessa scadenza e stesso importo nominale dell’emissione di bond originale da parte della Commissione), beneficiando del rating tripla A. Gli Stati membri potranno chiederli, se non basteranno le sovvenzioni e se lo considerano utile (perché non sarebbero in grado di spuntare le stesse condizioni sul mercato) fino a un massimo corrispondente al 4,7% del loro Reddito nazionale lordo.
Emissione di debito Ue fino a 750 miliardi, le garanzie
Il piano ‘Next Generation EU’ sarà finanziato con una emissione di titoli di debito sui mercati da parte della Commissione per un ammontare fino a un massimo di 750 miliardi di euro, per coprire almeno i 500 miliardi di sovvenzioni, più gli eventuali prestiti fino a 250 miliardi. Queste obbligazioni saranno garantite da una parte dell’eccedenza (‘headroom’) degli impegni finanziari che saranno sottoscritti dagli Stati membri per il bilancio pluriennale 2021-2027 (Qfp), rispetto al tetto di spesa previsto.
L’ammontare totale del Qfp viene definito da due percentuali relative al Reddito nazionale lordo (Rnl) cumulato dell’Ue: il tetto di spesa (nella proposta attuale circa l’1,11% del Rnl), e il tetto degli impegni sottoscritti dagli Stati membri, chiamato anche ‘massimale delle risorse proprie’, che è sempre di poco superiore, per permettere un margine di intervento in caso di impresti. La proposta della Commissione prevede che il tetto degli impegni (che sono fondi sottoscritti ma non versati) sia aumentato permanentemente all’1,4%, e in più che sia temporaneamente quasi raddoppiato, al 2% del Rnl, in modo da poter costituire le garanzie per le emissioni di debito, che corrisponderanno dunque allo 0,6% del Rnl comunitario.
Come funzionano le emissioni di debito e chi paga
Le emissioni di debito avverranno gradualmente, secondo le necessità, fino al 2024. La Commissione ha il rating AAA e potrà scontare tassi d’interesse molto bassi. Gli interessi saranno pagati dal bilancio comunitario, fino alla scadenza dei titoli di debito, da 3 a 30 anni. Il rimborso finale del debito alla sua scadenza sarà pagato anch’esso dal bilancio comunitario, non prima del 2028 e non dopo il 2058. Qui la Commissione lascia agli Stati membri la decisione sulle modalità di rimborso: aumentare le loro contribuzioni al bilancio Ue, tagliare i finanziamenti ai programmi comunitari, o introdurre nuove ‘risorse proprie’, fonti di finanziamento autonomo dell’Unione con prelievo diretto.
Distribuzione dei fondi agli Stati, Italia prima beneficiaria
La distribuzione dei fondi del Piano agli Stati membri (tutti potranno avervi accesso), avverrà attraverso il bilancio comunitario e secondo una chiave che tiene conto (in base a complessi calcoli, modelli e simulazioni contenuti in uno ‘Staff Working Document’ della Commissione di 53 pagine), dell’impatto economico della pandemia in ciascun paese.
Secondo una tabella non ancora pubblicata ufficialmente dalla Commissione (intitolata ‘Pre-Allocated funding for Next Generation EU’), la ripartizione vedrebbe l’Italia come primo beneficiario, con 81,807 miliardi di euro in sovvenzioni e la possibilità di richiedere prestiti agevolati fino a 90,938 miliardi, per un totale di finanziamenti pari a 172,745 miliardi di euro.
Gli 81,807 miliardi di euro di sovvenzioni all’Italia provengono in massima parte, 63,380 miliardi, dal ‘Recovery and Resilience Facility’, e poi dagli altri tre fondi per i quali è prevista una pre-allocazione per Stato membro: 2,141 miliardi dal ‘Just Transition Fund’ mentre il resto (16,286 miliardi) sarà erogato dal programma ‘ReactEU’ e dai fondi dello ‘Sviluppo rurale’ il ‘braccio ambientale’ della Politica agricola comune. Non è possibile per ora disaggregare le cifre di questi ultimi due fondi, perché la Commissione non ha fornito indicazioni e le decisioni finali saranno prese solo dopo l’estate.
I fondi agli altri Stati membri
Tra gli Stati beneficiari, secondo la tabella non ufficiale della Commissione, al secondo posto ci sarebbe la Spagna (sovvenzioni 77,324 Mld, prestiti 63,122 Mld, totale 140,446 Mld), al terzo la Polonia (sovvenzioni 37,693 Mld, prestiti 26,146 Mld, totale 63,838 Mld) al quarto la Francia (sovvenzioni 38,772 Mld, senza prestiti), al quinto la Grecia (sovvenzioni 22,562 Mld, prestiti 9,436 Mld, totale 31,997 Mld), al sesto la Romania (sovvenzioni 19,626 Mld, prestiti 11,580 Mld, totale 31,206 Mld), al settimo la Germania (sovvenzioni 28,806 Mld, senza prestiti) all’ottavo il Portogallo (sovvenzioni 15,526 Mld, prestiti 10,835 Mld, totale 26,361 Mld), e poi tutti gli altri Stati membri, fino al ventisettesimo, il Lussemburgo (sovvenzioni 170 Mln, senza prestiti).
I Piani nazionali per richiedere i fondi
Per accedere ai fondi della ‘Recovery and Resilience Facility’, gli Stati membri dovranno presentare dei ‘Piani per la ripresa’ nazionali, con dettagliati obiettivi di spesa. I ‘recovery plan’ nazionali verranno approvati dalla Commissione dopo una procedura di consultazione degli Stati membri (‘comitologia’) che può portare al blocco dalla proposta solo se c’è una maggioranza qualificata di paesi contraria.
In questo contesto, ci sarà una forma di ‘condizionalità’, che riguarderà la corretta gestione dei fondi da parte dei paesi beneficiari. In particolare, sarà verificato il rispetto, negli obiettivi di spesa, delle priorità della Commissione riguardo al ‘Green Deal’ su clima e ambiente e alla transizione digitale, e l’attuazione delle riforme strutturali chieste nelle ‘Raccomandazioni specifiche per paese’ del cosiddetto ‘semestre europeo’ (il ciclo di coordinamento e sorveglianza dei bilanci nazionali).
Come già avviene da tempo per l’erogazione dei Fondi strutturali e di coesione, i finanziamenti saranno erogati in ‘tranche’ successive che verranno sbloccate dopo la verifica del corretto uso dei fondi già versati.
Necessarie unanimità in Consiglio europeo e ratifiche nazionali
Il Piano di rilancio da 750 miliardi dovrà ora essere approvato all’unanimità dal Consiglio europeo e poi ratificato dai parlamenti di tutti gli Stati membri. Il negoziato non sarà facile, e il tempo a disposizione è davvero limitatissimo. Sarà un miracolo se si riuscirà a completare il processo entro la fine dell’anno, in modo da poter cominciare all’inizio del 2021 con il piano e il nuovo bilancio comunitario pluriennale in vigore.
La prima discussione dei capi di Stato e di governo è prevista per il Consiglio europeo del 19 giugno, ma si parla già di un nuovo vertice straordinario all’inizio di luglio, durante il nuovo semestre della presidenza semestrale di turno tedesca del Consiglio Ue, che potrebbe essere risolutivo.
Le resistenze dei quattro ‘paesi frugali’
Nonostante tutto il peso che la Germania ha messo a favore del Piano di rilancio, bisognerà superare soprattutto le resistenze dei cosiddetti ‘Frugal Four’ (Austria, Olanda, Svezia e Danimarca). Questi ‘paesi frugali’ accettano, come tutti ormai, il progetto della Commissione di raccogliere i fondi sul mercato emettendo debito, ma vorrebbero un ‘volume di fuoco’ ben inferiore, e soprattutto chiedono che i finanziamenti siano erogati agli Stati membri solo sotto forma di prestiti e non come sovvenzioni.
E’ possibile che, per arrivare a un compromesso, il Piano della Commissione subisca delle modifiche. Ma, come si è visto durante il dibattito in plenaria dopo la presentazione della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, un forte maggioranza del Parlamento europeo sostiene la proposta, così come una forte maggioranza dei governi, compreso quello tedesco, nel Consiglio europeo.
La rinuncia della Commissione all’eliminazione dei ‘rebate’
Una contropartita importante per cercare di convincere i ‘paesi frugali’ è costituita dalla decisione della Commissione di rinunciare a proporre l’eliminazione progressiva nel periodo 2021-2027 degli ‘sconti’ (‘rebate’), correzioni al ribasso sulle contribuzioni nazionali annuali al bilancio comunitario. che erano state concesse negli anni scorsi agli Stati membri più ricchi, fra i quali ci sono proprio l’Olanda, la Svezia, l’Austria e la Danimarca, oltre alla Germania e pochi altri.
Con Londra fuori dall’Ue non dovrebbe esserci più ragione di mantenere questi sconti per nessun altro Stato membro. Il ‘rebate’ originario era nato infatti nel 1985 a seguito delle pressanti richieste dell’allora premier britannica Margaret Thatcher con lo slogan ‘I want my money back’, ma negli ultimi anni erano stati introdotti dei meccanismi compensativi (‘correzioni sulle correzioni’) a favore di alcuni dei paesi ‘contributori netti’.
Nella sua precedente proposta del 2018 per il bilancio pluriennale 2021-2027, la Commissione aveva proposto di eliminare tutti i ‘rebate’ residui non di colpo, come sarebbe logico dopo la Brexit, ma progressivamente nell’arco di cinque anni. Ora, però, l’Esecutivo comunitario ha osservato che, ‘dato l’impatto della pandemia di Covid-19, l’eliminazione progressiva dei ‘rebate’ comporterebbe degli aumenti sproporzionati delle contribuzioni di alcuni Stati membri nel prossimo bilancio di lungo termine. Per evitare questo, gli attuali ‘rebate’ potranno essere e eliminati progressivamente lungo un periodo di tempo molto più lungo di quanto era stato previsto nel 2018′.
La proposta di nuove ‘risorse proprie’ per il bilancio Ue
Un elemento cruciale del progetto della Commissione è la proposta riguardante l’introduzione di nuove ‘risorse proprie’ per il bilancio comunitario.
Se gli Stati membri lo decideranno (e se i loro parlamenti ratificheranno tutti la decisione), con l’introduzione di nuove risorse proprie non sarà necessario aumentare le contribuzioni nazionali al bilancio comunitario dopo il 2027 per pagare i 500 miliardi del rimborso del debito contratto per finanziare il Fondo di rilancio che non saranno destinati a prestiti, ma a sovvenzioni. Né si dovrà, in alternativa, tagliare notevolmente la spesa delle voci ‘tradizionali’ di bilancio. Questa circostanza rappresenta un forte incentivo per far passare le nuove risorse proprie.
La Commissione propone diverse possibilità, tra le quali gli Stati membri sono chiamati a scegliere, potendo anche combinare diverse opzioni: 1) destinare al bilancio una parte dei ‘diritti di emissione’ del sistema europeo Ets (la borsa delle emissioni di CO2), prelevandoli dal gettito aggiuntivo dovuto alla prevista estensione del sistema anche ai settori dell’aviazione e della navigazione marittima (valore stimato 10 miliardi all’anno; 2) la ‘carbon tax’ sulle importazioni dai paesi terzi che non hanno sistemi equivalenti all’Ets, che sarà introdotta l’anno prossimo (valore previsto da 5 a 14 miliardi all’anno) ; 3) una ‘digital tax’ sulle grandi imprese (almeno 750 milioni di fatturato) del settore digitale (gettito previsto 1,3 miliardi l’anno); 4) un prelievo sulle operazioni nel mercato unico delle grandi imprese (valore previsto circa 10 miliardi l’anno).
La nuova proposta di Quadro finanziario pluriennale
Riguardo ai capitoli di spesa del bilancio comunitario pluriennale 2021-2028 (Qfp), la Commissione ripropone sostanzialmente l’ultima proposta che era stata presentata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel nel febbraio scorso (e bocciata dal vertice Ue), con qualche modifica minore, ma precisandone solo il valore assoluto di 1.100 miliardi di euro, e non la percentuale rispetto al Reddito nazionale lordo (Rnl). Questo perché, se si ragionasse in termini percentuali, la caduta del Pil nel 2020, causata dal Covid-19, potrebbe cambiare in modo rilevante le cifre.
Le novità più importanti del nuovo Qfp, oltre all’aumento temporaneo del tetto degli impegni finanziari degli Stati membri al 2% del Rnl comunitario (per le garanzie necessarie all’emissione di debito Ue), e all’integrazione nel bilancio del piano ‘Next Generation EU’, sono il rafforzamento dei programmi riguardanti la ricerca, la salute e l’azione esterna.
La scomparsa del Bicc
Un’altra modifica riguarda la decisione della Commissione di rinunciare, nella sua nuova proposta, all’introduzione del Bicc (‘Budgetary Instrument for Convergence and Competitiveness’), uno strumento per finanziare le ‘riforme strutturali per la competitività’ nell’Eurozona. Inizialmente, il Bicc era stato preso in considerazione come un modo per imporre una più forte ‘condizionalità’ per il sostegno finanziario agli Stati membri. Il Bicc, in realtà, era legato alla vecchia logica dell’austerità, inadatta alla situazione attuale in cui i paesi sono incoraggiati a investire, e non a ridurre la spesa pubblica. Inoltre, la sua caratteristica di strumento limitato ai paesi dell’Eurozona lo rendeva inappropriato alla portata del Piano di rilancio economico che riguarda tutta l’Ue.
Tutte le voci del nuovo bilancio Ue
La suddivisione fra i capitoli di spesa prevede: 1) 210 miliardi per ‘Mercato unico, Innovazione e Digitale’, di cui 69,8 dal Fondo di rilancio ‘Next Generation EU’; 2) 984 miliardi per la politica di coesione, di cui ben 610 dal Fondo di rilancio; 3) 402 miliardi per il capitolo ‘Risorse naturali e Ambiente’ (che comprende anche la Politica agricola comune) di cui 45 miliardi dal Fondo di rilancio; 4) 31,1 miliardi per ‘Immigrazione e Gestione delle frontiere’; 5) 29,1 miliardi per il capitolo ‘Resilienza, Sicurezza e Difesa) di cui 9,7 miliardi dal Fondo di rilancio; 6) 118,2 miliardi per il ‘vicinato’ e le relazioni esterne, di cui 15,5 dal Fondo di rilancio; 7) 74,6 miliardi, infine, per l’Amministrazione europea.
La ‘soluzione ponte’: 11,5 miliardi per il 2020
L’ultimo elemento importante delle proposte della Commissione è la ‘soluzione ponte’ prospettata per consentire di cominciare a erogare una parte dei fondi del Piano di rilancio già nella seconda metà del 2020. Questo non sarebbe possibile con il Piano che si basa sul bilancio 2021-2027, e l’Esecutivo comunitario ha perciò proposto un aumento straordinario dei contributi degli Stati membri all’ultimo anno dell’attuale Qfp, il 2020, appunto, in modo da poter avviare già alcuni dei programmi previsti dal Piano di rilancio.
Il bilancio annuale del 2020 verrà aumentato così di 11,5 miliardi di euro, che saranno destinati per la massima parte (5 miliardi ciascuno) a due programmi: ‘ReactEU’ per i fondi di coesione e il ‘Solvency Instrument’, il fondo che fornirà garanzie per la ricapitalizzazione delle imprese sane che rischiano di fallire a causa del Covid-19. Altri 500 milioni di euro andranno ad aumentare il capitale dello ‘EU Investment Fund’, per gli investimenti delle aziende private, e 1 miliardo, infine, al ‘Sustainable Fund’ esterno, per i paesi candidati dei Balcani occidentali.

mercoledì 22 aprile 2020

CONSIGLI NON RICHIESTI AL CONSIGLIO EUROPEO


Oggi si riunisce il Consiglio Europeo in video conferenza per decidere su quello che ormai è conosciuto come Covid Recovery Plan.

Il dibattito europeo sembra essersi polarizzato sui due estremi: da un lato i 'falchi' che preferirebbero una rigida applicazione dei parametri di Maastricht e delle pesanti condizionalità previste dal Meccanismo Europeo di Stabilità -MES- (1), e dall'altro le 'colombe' che invece vorrebbero attivare strumenti 'nuovi' (e quì le virgolette sono d'obbligo e adesso vedremo perché), come i Corona Bonds, i Recovery Bonds o come diavolo decideranno di chiamarli.
Ma sia permesso rilevare che sia falchi che colombe sono completamente fuori strada. Commettono cioè lo stesso errore, che è quello di rimanere prigionieri entrambi della logica del debito, e differiscono solamente sulle modalità e le cosiddette 'condizionalità' della restituzione. 
Ma sempre di debito si tratta. E come ci si aspetta che imprese e commercianti e enti pubblici deprivati di ogni entrata, (ma non delle uscite purtroppo...) siano in grado di ripagare tali debiti?
E come ci si aspetta che le nostre imprese possano competere su scala globale con imprese i di Paesi i cui governi abbiano coperto le perdite con finanziamenti a fondo perduto?
JEAN-PAUL FITOUSSI
È importante sottolineare che questo è anche l'autorevole punto di vista anche di oltre cento fra i principale economisti Europei fra i quali, Fitoussi e Galbraith.
Infatti con un appello intitolato Ue, l’accordo all’anno zero (2), gli studiosi constatano che
l'accordo raggiunto dall’Eurogruppo il 9 aprile scorso sugli interventi europei per fronteggiare la pandemia e le sue gravissime conseguenze economiche è insufficiente, prefigura strumenti inadatti e segna una continuità preoccupante con le scelte politiche che hanno fatto dell’eurozona l’area avanzata a più bassa crescita nel mondo.
L'appello spiega che tale accordo
non prende atto dell’eccezionalità della situazione, senza precedenti almeno nell’ultimo secolo, né del fatto che questo sconvolge i paradigmi che hanno guidato la politica economica negli ultimi decenni. Tra i ministri delle Finanze sembra prevalere l’idea che quanto sta accadendo possa essere circoscritto nel tempo a una parentesi relativamente breve, chiusa la quale si possa tornare senza problemi a comportarsi come prima. Non è così, come ha ben spiegato una personalità di riconosciuta competenza come l’ex presidente della Bce Mario Draghi, continua il testo, che poi spiega che l’eccezionalità delle circostanze dovrebbe far prendere in esame provvedimenti eccezionali, che dovrebbero avere almeno due caratteristiche essenziali:
- essere attivabili in tempi il più possibile brevi;
- ridurre al minimo possibile l’aumento dell’indebitamento degli Stati, già destinato inevitabilmente a crescere per finanziare gli interventi indifferibili per ridurre i danni della crisi.
E tanto per essere più chiari precisano che
la sola opzione che risponda a questi due requisiti è il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie da parte della Banca centrale europea. Si tratta di una opzione esplicitamente vietata dai Trattati europei. Ma anche i trattati, in caso di necessità, possono essere sospesi nel rispetto del diritto internazionale e questo è oltretutto già avvenuto.
La monetizzazione di spese giudicate inderogabili non è una procedura inusitata. È stata appena formalizzata nel Regno Unito, mentre le più importanti banche centrali del mondo – Federal Reserve e Bank of Japan – la praticano di fatto. In Italia viene ormai proposta da economisti dei più diversi orientamenti: è raro che una proposta venga condivisa da diverse scuole di pensiero.
E infine il gruppo di economisti firmatari concludono che
al prossimo Consiglio dei capi di Stato e di governo, che dovrebbe ratificare l’accordo dell’Eurogruppo, l’Italia dovrebbe invece rigettarlo, e proporre che la parte più importante degli interventi anti-crisi, il cui volume dovrebbe raddoppiare per estendersi almeno al prossimo anno, sia attuata con un intervento della Banca centrale europea
e coraggiosamente ricordano che
In caso di rifiuto da parte degli altri partner, la strada meno dannosa sarebbe quella di dare seguito a ciò che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto di recente: per questa emergenza, “Faremo da soli”.
L'appello degli economisti finisce qui. 
Ma è doveroso ricordare che anche in seno alle istituzioni europee peraltro si è iniziata a levare una voce autorevole verso la monetizzazione del debito: in un’intervista al Financial Times dello scorso 8 aprile François Villeroy de Galhau, Governatore della Banca di Francia e membro del consiglio direttivo della BCE, ha lanciato l’idea di stampare denaro perdarlo direttamente alle imprese come azione di emergenza contro la deflazione. E se lo dice un banchiere centrale di una delle nazioni più importanti dell’Unione c’è da credere che sia
possibile. Noi invece vorremmo andare oltre e ricordare che a  ottobre scorso si è insediata la nuova presidente Ursula Von Der Leyen che ha indicato Il Green New Deal come strategia fondante della Commissione Europea dalla sua nuova nel suo discorso inaugurale e nella introduzione alla strategia della nuova Commissione in cui la Presidente paragonò il Green New Deal per l’Europa a quello che ha rappresentato, in quanto sfida epocale, l’uomo sulla luna per gli USA. 
Il Green New Deal implica profonde trasformazioni economico sociali che non si limitano alla sola transizione energetica e alla lotta al cambiamento climatico ma comportino anche una nuova strategia di sviluppo economico e occupazionale e la redistribuzione della ricchezza, accorciando le filiere a cominciare dall'agricoltura, e garantendo un reddito alle imprese locali a discapito delle grandi multinazionali
Poi, improvvisamente, arriva questo maledetto virus, e la conseguente catastrofica emergenza sanitaria globale, e in sede Europea si comincia a andare in ordine sparso e a occuparsi solo e solamente delle questioni legate al Coronavirus, in modo talmente goffo e maldestro, che la Presidente è stata costretta a chiedere scusa pubblicamente all'Italia per averla abbandonata nel primo mese della pandemia.
Adesso si comincia a parlare di RECOVERY PLAN, perchè il virus oltre a fare decine di migliaia di vittime, sta anche distruggendo come tutti sappiamo, l'economia globale.
Ma un piano di recupero è insufficiente per mettere una toppa al buco enorme provocato dalla pandemia. Ben altro sarebbe necessario. Cosa?
Niente di più che il famoso piano Green annunciato dalla Commissione Europea a dicembre scorso.
Infatti le proposte formulate dalla Commissione Europea nel quadro della sua nuova strategia green sono precise e avanzatissime, e sono esattamente quello di cui c'è bisogno per riprendersi dalla crisi economica. Quindi, l'Unione Europea, se vuole recuperare il suo spirito originario, quello del sogno europeo, deve mettere da parte politiche improvvisate atte a inseguire l'emergenza e continuare dritto per la sua strada come stava già facendo.
Ecco che tipo di ripresa si deve finanziare con i bond, col MES o con qualunque altro strumento finanziario che si deciderà di adottare. Strumento, appunto. Non bisogna dimenticare infatti che quelli finanziari sono solo degli strumenti che non possono diventare i fini dell'azione europea -come purtroppo è stato fatto in passato. I fini sono altri. E sono definiti in modo esauriente nel GREEN DEAL EUROPEO appena presentato e troppo frettolosamente accantonato davanti alla pandemia.
Il recovery plan europeo è già pronto senza doversi scervellare più di tanto. Speriamo che Giuseppe Conte se ne ricordi in sede di consiglio Europeo giovedì prossimo quando intende andare a sbattere il pugno sul tavolo per i corona bond e contro il MES. E, naturalmente, speriamo che se ne ricordi anche i membri del Consiglio Europeo oggi.
Note:
(1)

(2)

FIRMATARI

Nicola Acocella (univ. Roma La Sapienza)
Giorgio Alleva (
univ. Roma La Sapienza)Davide Antonioli (univ. Ferrara)
Amedeo Argentiero (univ. Perugia)
Pier Giorgio Ardeni (univ. Bologna)
Alberto Avio (univ. Ferrara)
Lucio Baccaro (Managing Director, Max Planck Institute, Colonia)
Alberto Baccini (Univ. Siena)
Roberto Balduini (economista, Roma)
Federico Bassi (univ. Paris Nord)
Annaflavia Bianchi (economista, Bologna)
Maria Luisa Bianco (univ. Piemonte Orientale)
Francesco Bogliacino (Univesidad Nacional de Colombia)
Paolo Borioni (univ. Roma La Sapienza)
Luigi Bosco (univ. Siena)
Alberto Botta (univ. of Greenwich)
Carmelo Buscema (univ. della Calabria)
Sergio Bruno (univ. Roma La Sapienza)
Eugenio Caverzasi (univ. dell'Insubria)
Elena Cefis (univ. Bergamo)
Sergio Cesaratto (univ. Siena)
Federico Chicchi (univ. Bologna)
Roberto Ciccone (univ. Roma Tre)
Giulio Cifarelli (univ. Firenze)
Valeria Cirillo (univ Bari)
Carlo Clericetti (giornalista)
Caterina Colombo (univ. Ferrara)
Andrea Coveri (univ. Urbino)
Antonio Cuneo (univ. Ferrara)
Salvatore D'Acunto (univ. della Campania)
Massimo D'Antoni (univ. Siena)
Antonio Di Majo (univ. Roma Tre)
Giovanni Dosi (Scuola Superiore Sant'Anna)
Luigi Doria (univ. Ca' Foscari)
Lucrezia Fanti (ricercatrice, Roma)
Caterina Ferrario (univ. Ferrara)
Jean-Paul Fitoussi (Sciences Po, Parigi)
Thomas Ferguson (univ. of Massachusetts, Boston)
Guglielmo Forges Davanzati (univ. del Salento)
Maurizio Franzini (univ. Roma La Sapienza)
Andrea Fumagalli (univ. Pavia)
James K. Galbraith (univ. of Texas at Austin)
Mauro Gallegati (univ. Politecnica delle Marche)
Claudio Gnesutta (univ. Roma La Sapienza)
Antoine Godin (univ. Sorbonne Paris Nord)
Dario Guarascio (univ. Roma La Sapienza)
Andrea Guazzarotti (univ. Ferrara)
Alan Kirman (univ. Aix-Marseille)
Heinz D. Kurz (univ. Graz)
Valentino Larcinese (London School of Economics)
Andres Lazzarini (univ. of London e Roma Tre)
Riccardo Leoncini (univ. Bologna)
Emanuele Leonardi (univ. Parma)
Riccardo Leoni (univ. Bergamo)
Enrico Sergio Levrero (univ. Roma Tre)
Gianna Lotito (univ. Torino)
Stefano Lucarelli (univ. Bergamo)
Ugo Marani (univ. Napoli l'Orientale)
Maria Cristina Marcuzzo (univ. Roma La Sapienza e Acc. Lincei)
Massimiliano Mazzanti (univ. Ferrara)
Marco Missaglia (univ. Pavia)
Antonio Musolesi (univ. Ferrara)
Nicola Negri (univ. Torino)
Guido Ortona (univ. Piemonte orientale)
Ugo Pagano (univ. Siena)
Ruggero Paladini (univ. Roma La Sapienza)
Thomas Palley (Independent economist, Washington D.C.)
Dimitri B. Papadimitriou (Levy Economics Institute)
Valentino Parisi (univ. Cassino)
Gabriele Pastrello (univ. Trieste)
Paolo Piacentini (univ. Roma La Sapienza)
Paolo Pini (univ. Ferrara)
Paolo Polinori (univ. Perugia)
Cesare Pozzi (Luiss Guido Carli e univ. di Foggia)
Felice Roberto Pizzuti (univ. Roma La Sapienza)
Lionello Franco Punzo  (univ. Siena)
Michele Raitano (univ. Roma La Sapienza)
Simonetta Renga (univ. Ferrara)
Riccardo Realfonzo (univ. del Sannio)
Louis-Philippe Rochon (Laurentian University, Canada)
Umberto Romagnoli (univ. Bologna)
Roberto Romano (economista)
Sergio Rossi (univ. di Friburgo)
Vincenzo Russo (univ. Roma La Sapienza)
Roberto Schiattarella (univ. Camerino)
Mario Seccareccia (univ. Ottawa)
Alessandro Somma (univ. Roma La Sapienza)
Antonella Stirati (univ. Roma Tre)
Giuseppe Tattara (univ. Venezia)
Pietro Terna (univ. Torino)
Mario Tiberi (univ. Roma La Sapienza)
Stefano Tomelleri (univ. Bergamo)
Leonello Tronti (univ. Roma Tre)
Gianni Vaggi (univ. Pavia)
Marco Valente (univ. dell'Aquila)
Vittorio Valli  (univ. Torino)
AnnaMaria Variato (univ. Bergamo)
Carlo Vercellone (univ. Paris 8)
Matias Vernengo (Bucknell University, Usa)
Marco Veronese Passarella (Leeds University Business School)
Giulia Zacchia (univ. Roma La Sapienza)
Maurizio Zenezini (univ. Trieste)
Gennaro Zezza (univ. Cassino)

Nuove adesioni

Enzo Valentini (univ. Macerata)
Antimo Verde (univ. Tuscia)
Neri Salvadori (univ. Pisa)
Alberto Lanzavecchia (univ. Padova)
Salvatore Madonna (univ. Ferrara)
Jean Marie Monnier (univ. Paris 1 La Sorbonne)
Gianfranco Viesti (univ. Bari)
Carlo Giannone (univ. del Sannio)
Arsenio Stabile (univ. Siena)
Pasquale De Sena (univ. Cattolica Milano)
Francesca Coin (Lancaster University)
Davide Romaniello (Università Cattolica del Sacro Cuore)
Matteo Deleidi (Università Roma Tre)
Lorenzo Di Domenico (Università Roma Tre)
Michele Bavaro (Università Roma Tre)
Lorenzo Germani  (Università La Sapienza)
Stefano Di Bucchinico (Università di Siena)
Gianluigi Nico (Food and Agriculture Organization)
Giacomo Cucignatto (Università di Roma Tre)

Sergio Bianchi (univ. Roma La Sapienza)
Luciano Vasapollo (univ. Roma La Sapienza)
Riccardo Pariboni (univ. Siena)
Walter Paternesi Meloni (univ. Roma Tre)
Fabrizio Antenucci (univ. Roma Tre)
Marc Lavoie (univ. of Ottawa)


Note:
(1)

http://temi.repubblica.it/micromega-online/ue-appello-di-101-economisti-al-governo-non-firmate-quell-accordo/?fbclid=IwAR0_rW19LdVvA3XQs5eeBFGKWhgCzFR_5Rn_6onU2oC_0pi_GEXqxdR6ppE