venerdì 1 marzo 2024

I TRATTORI EUROFOBICI E IL GREEN DEAL EUROPEO

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il magazine Terzo Giornale ha pubblicato il primo marzo 2024, un mio articolo sulle proteste dei trattori europei contro il Green Deal in versione corta che si può leggere a questo link:

https://www.terzogiornale.it/2024/02/29/trattori-e-green-deal-europeo/#more-1


 

Questa è la versione intera. Buona lettura!

"You may say I'm a dreamer..." cantava John Lennon nel 1971, "...but I'm not the only one; I hope someday you will join us and the world will be just as one". Con altre canzoni lanciava due slogan destinati a diventare il manifesto di una intera generazione: "Give Peace a chance!" e "Power to the people!"

E proprio a questi valori si erano già richiamati 30 anni prima i padri fondatori dell’Europa per scongiurare con strategie energetiche ed economiche di collaborazione e non di antagonismo, quelle guerre che nella prima metà del secolo erano costate decine di milioni di morti.

Grazie a queste strategie, il sogno di una Europa pacifica e prospera si coniugava con la prospettiva di dare agli europei energia e ecosostenibilità, in altre parole, “Power to the people”, laddove “power” significa energia ma anche potere politico.


Il principale settore preso inizialmente in considerazione dall’Europa fu quello dell’Agricoltura. Nacque così la cosiddetta PAC (o Politica Agricola Comune), che assorbì inizialmente
oltre il 75% del budget comunitario (e ancora oggi ne rappresenta una voce importante con contributi per la verità molto sbilanciati verso l’agroindustria a discapito delle piccole imprese agricole).

Allora come si spiega che cinquant'anni dopo, gli agricoltori di tutta Europa invadono le principali capitali con i loro trattori per protestare proprio contro quella Europa che li ha sempre aiutati?

Qui è necessario fare un passo indietro e ripercorrere le tappe del processo di integrazione europea.

L’idea di una Europa unita da politiche energetiche e economiche comuni nasce con il Manifesto di Ventotene scritto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Mentre gli europei si uccidevano a migliaia ogni giorno per una guerra legata al possesso di fonti energetiche, quei tre visionari arrivavano a immaginare un’Europa di pace, libertà e “potere alla gente” ben sapendo che le fonti energetiche erano state alla base della prima guerra mondiale, nata dalla contesa sui bacini carboniferi della Ruhr fra Francia e Germania nonché della seconda, nata per l’accesso ai pozzi petroliferi del mar Caspio e del nord Africa.

Ispirati da quel Manifesto, statisti coraggiosi quali Spinelli, De Gasperi, Monnet, Schuman, Adenauer, Beck, e Paul Henri Spaak, stabilirono forme di cooperazione energetica quali la CECA - Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, costituita a Parigi nel 1951, e l’EURATOM - Comunità Europea dell'Energia Atomica, costituita a Roma nel 1957, per mettere in comune le attività relative all'atomo ri-orientandole sul piano civile anziché quello militare tragicamente dimostrato a Hiroshima e Nagasaki.

Il trattato mirava a "coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi all'energia nucleare ed assicurare un uso pacifico della stessa".

Questa strategia energetica europea, era destinata evolversi verso fonti energetiche più sostenibili, dapprima con un pacchetto di misure per promuovere energie sostenibili secondo i nuovi obiettivi proposti dal Protocollo di Kyoto, e successivamente dal Protocollo di Parigi del 2015.

Lo strumento principale per raggiungere questi obiettivi oggi è il Green Deal europeo che si articola in 8 linee d’azione ispirate ai 17 Sustainable Development Goals dell'Agenda 2030 dell’Onu, e prevede l’ambizioso obiettivo di una “carbon neutrality” (Europa a zero emissioni) al 2050. È previsto anche l’obiettivo intermedio di ridurre le emissioni del 55% al 2030, grazie al pacchetto "Fit for 55" annunciato a fine 2019 dalla Presidente von der Leyen, d’intesa con la sua ispiratrice politica Angela Merkel, seguace attenta e fedele della visione di Jeremy Rifkin.

Si tratta di un'accelerazione verso un nuovo scenario di sovranità energetica in cui sarà il sole a darci oltre ai prodotti della fotosintesi, anche tutta l'energia di cui abbiamo bisogno per coltivarli.

E il sole, a differenza del gas o dell'uranio, è di tutti, nessuno può possederlo e venderlo al metro cubo. Un’incredibile rivoluzione che potrebbe metterci al riparo dai venti (e gas) di guerra.

Il Green Deal Europeo prevede anche chiare strategie per la promozione della filiera corta in agricoltura ("From farm to fork"), per l'economia circolare, per la sostenibilità nei trasporti e nell’edilizia, per la tutela della biodiversità, per le bonifiche dei siti inquinati, per il ripristino degli ecosistemi, per la crescita dell’agricoltura biologica, e la proibizione di pesticidi, emissioni zootecniche, nuovi OGM. La riforma della PAC 2023-2027 condiziona al rispetto di queste norme l’ottenimento dei sussidi.

Da qui una parte delle proteste dei trattori, indirizzate contro questi aspetti del Green Deal. Va però detto che il fronte della protesta è spaccato perché esistono anche associazioni di agricoltori che individuano le vere cause della crisi dell’agricoltura europea proprio nella dipendenza dai fossili, dai fitofarmaci, e dalla grande distribuzione organizzata, che intercetta la maggior parte dei profitti lasciando ai piccoli agricoltori le briciole.

L’aumento dei costi di produzione, determinato soprattutto dall’aumento dei costi energetici e quindi del gasolio, dei fertilizzanti e dei pesticidi chimici di sintesi, ha penalizzato essenzialmente gli agricoltori, mentre l’agroindustria e la grande distribuzione sono riusciti a tutelare meglio i loro interessi economici, confermando per gli agricoltori il ruolo di anello debole della filiera agroalimentare” ci ricorda lo Slow Food di Carlo Petrini.

La soluzione dunque, non può essere la cancellazione delle norme e degli impegni per la tutela dell’ambiente o il rinvio dell’indispensabile transizione ecologica dell’agricoltura, ma al contrario l’accelerazione delle strategie europee, con la previsione però di aiuti alle piccole e medie imprese agricole europee per far fronte alla concorrenza dei grandi gruppi multinazionali, liberi di portare sul mercato europeo prodotti coltivati con tutti i fitofarmaci vietati in Europa, in Paesi dove la manodopera è pagata con salari da fame. In questo senso, la marcia indietro dell’Europa proprio sui limiti ai pesticidi, lancia un pessimo segnale a vantaggio dell’agro industria e a discapito dell’agricoltura biologica europea. Molto meglio sarebbe stato prevedere sostanziosi dazi alle frontiere per prodotti delle multinazionali di incerta provenienza. 

Ma la partita non è ancora chiusa. Speriamo di vedere presto un cambio di rotta verso l’agricoltura biologica, le fonti rinnovabili e la sovranità energetica ed economica delle aziende europee, come prevede lo stesso Green Deal, in linea con le proposte dello Slow Food, per una rapida transizione dall’agroindustria a una agricoltura di prossimità sempre più “power to the people.

lunedì 18 dicembre 2023

COP 28, un’analisi a freddo del dirottamento fossile delle politiche climatiche mondiali.

 


Skyline di DUBAI con il Burj Khalifa (il grattacielo più alto del mondo).

A leggere il testo finale scaturito dai lavori della COP 28 (ventottesima “Conference of Parties” sul Clima dell’ONU tenutasi a Dubai), balza immediatamente agli occhi la sua vaghezza e indeterminatezza. 

La data per la transizione energetica è prevista con una formulazione approssimativa che  rimane priva comunque di qualunque scadenzario, cronoprogramma, e obiettivi intermedi nonché tempi e modi di questa transizione. 

Un risultato niente male per i petrolieri e per la prima COP a trazione petrolifera. Cosa potevano volere di più? che venisse negato il cambiamento climatico e la responsabilità dei fossili nella sua accelerazione drammatica? Che venisse smentita la responsabilità fossile,  in una Conferenza globale mirante a combattere il cambiamento climatico e che venissero riconosciuti gli interessi e i diritti del mondo petrolifero a continuare a devastare l'economia del pianeta e la coesione sociale delle sue popolazioni?

Molto meglio riconoscere il problema ma mantenersi nel vago quanto all'impegno a risolverlo, che è esattamente quello che è successo alla COP 28. Il tentativo delle petromonarchie è ormai scoperto:  bloccare o sabotare le politiche climatiche mondiali affidate alla COP rallentando molto il processo di transizione energetica, proprio quando invece bisognava premere sull’acceleratore. In pratica si tratta di un vero e proprio dirottamento delle politiche climatiche globali verso gli interessi dei poteri fossili globali.

Ma analizziamo più in dettaglio le principali stranezze emerse in questa COP:

Stranezza n.1

La prima stranezza è dovuta al luogo dove si è tenuta la conferenza – Dubai – vale a dire una città degli Emirati Arabi Uniti il cui impetuoso sviluppo economico (sostanziatosi in un vertiginoso  aumento di popolazione vertiginoso, dai 200.000 abitanti nel 1980 agli attuali 3.500.000) è esclusivamente dovuto alla scoperta negli anni ‘60 di giacimenti di petrolio.

Dubai passata grazie al petrolio da piccolo insediamento nel deserto a capitale mondiale delle Archistar con di grattaceli di dimensioni enormi e dalle forme più inusitate (compreso il più alto del mondo, il Burj Khalifa, di 830 m.)!

Dubai, con edifici e impianti  dove grazie a sistemi di climatizzazione forzata è possibile, sciare in piena estate mentre la temperatura esterna arriva a 45-50 gradi (l'impianto si chiama Ski Dubai) .

Ski Dubai

Dubai, una città divoratrice di energia fossile che é la causa primaria delle emissioni di CO2 e e quindi responsabile di quel cambiamento climatico e di quella degenerazione ambientale, che, per ragioni ancora tutte da comprendere, (o forse comprensibilissime…) viene scelta come sede di una conferenza cruciale per combattere i cambiamenti climatici e la degenerazione ambientale…

Dubai, dunque il luogo peggiore al mondo per discutere di contrasto ai cambiamenti climatici.

Stranezza n.2

A Dubai Presidenza della COP 28 viene affidata a “Sultan bin Ahmed Al Jaber”, che è contemporaneamente Ministro dell’Industria degli Emirati Arabi Uniti, inviato speciale degli Emirati per i cambiamenti climatici e Amministratore Delegato della ADNOC-Abu Dhabi National Oil Company, una delle più grandi compagnie produttrici di energie fossili al mondo, per la quale ha programmato un aumento della produzione di petrolio da 3 milioni di barili/giorno nel 2016 a 5 milioni nel 2030.

E tanto per non smentirsi, e anzi per mettere le cose in chiaro, il Presidente della COP di Dubai, comincia i lavori della conferenza affermando che non vi è “nessuna prova scientifica della necessità di rinunciare ai combustibili fossili” e che “senza il petrolio l’umanità tornerebbe nelle caverne”.

Il Presidente-Petroliere

Che la Presidenza della COP 28 sia stata affidata a un campione dell’OPEC – “Organization of the Petroleum Exporting Countries” vale a dire l’organizzazione dei Paesi maggiori esportatori di petrolio di cui gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita sono i maggiori esponenti, (con il fiancheggiamento della Russia la cui economia si regge esclusivamente sulla vendita di gas, ora in crisi a causa dell’invasione dell’Ucraina) , equivale a nominare un ateo alla presidenza della Conferenza Episcopale Italiana.

Stranezza n.3

Alla COP 28, oltre ai rappresentanti dei 198 Paesi aderenti, sono stati accreditati 2.456 lobbisti delle fonti fossili, quasi il quadruplo dei pur numerosissimi 638 presenti l’anno precedente alla COP 27 a Sharm-el-Sheik. Una lobby sostenuta dall’Arabia Saudita, che all’inizio dei lavori ha dichiarato che l’abbandono dei combustibili fossili “non era assolutamente in discussione”, e il cui unico obiettivo è quello di rallentare il processo di transizione energetica e salvaguardare gli interessi dei produttori di petrolio, gas e carbone.

Un sospiro di sollievo... ma non troppo.

Di fronte a questo scenario da incubo la gran parte dei partecipanti interessati alla transizione deve aver pensato che la COP 28 sarebbe stata una delle peggiori tra le tante e inutili che si erano succedute dopo le uniche significative – Kyoto 1997 e Parigi 2015 – fino a quella incommentabile dello scorso anno a Sharm-el-Sheik, e quindi ha accolto con un sospiro di sollievo il “Global stocktake” (bilancio globale) finale della COP, (dato per approvato in tre minuti da Al Jaber senza aprire alcuna discussione nel merito), perché esso menzionava la transizione e quindi hanno reagito con un applauso più liberatorio che di approvazione.

In quell'applauso, c'erano tutti,  da Paesi che sostengono il cartello dei petrolieri, come la Russia e i Paesi Arabi a Paesi come Cina e Stati Uniti che, per ragioni diverse  non vedono di buon occhio un’accelerazione nella fuoriuscita dalle energie fossili, ai Paesi più arretrati che,  dall’eliminazione dei combustibili fossilisubirebbero una battuta d’arresto nel loro sviluppo  (e questa é una questione da affrontare in questa o altra sede, perché questi Paesi non possono essere abbandonati a se stessi ma al tempo stesso non possono essere lasciati liberi di inquinare a piacimento, e la soluzione non la fornisce certamente la miseria di dotazione finanziaria prevista per il fondo “Loss & damage” presso la Banca mondiale per aiutare questi Paesi in genere più colpiti da eventi meteorologici sempre più estremi).

In quell'applauso c'era anche il gruppone dei Paesi europei, che ha perso l’ennesima occasione per giocare un ruolo trainante nell’applicazione degli accordi di Parigi 2015, e che davvero non si capisce se "ci fa o ci é". Infatti il modello del Green Deal Europeo con i suoi otto obiettivi precisi e scadenzati, avrebbe dovuto costituire il modello principale a cui ispirarsi per le politiche di sostenibilità della COP, anche perché si tratta di un piano presentato dalla von der Leyen nel 2019 come "il contributo europeo all'agenda 2030 con i suoi 17 SDG (Sustainable Development Goals)", quindi in un certo senso la chiusura di un cerchio cominciato sempre in quel fatidico 2015 con l'approvazione dell'Agenda 2030 da parte dell'ONU.

Ovviamente non si sono uniti all'applauso i 44 Paesi insulari facenti parte dell’AOSIS, (Alliance Of Small Islands States - https://www.aosis.org/ ) sui quali ricadono già oggi le maggiori conseguenze dei cambiamenti climatici, il cui Presidente – Cedric Shuster di Samoa – vedendo la piega che prendevano i lavori aveva detto “Non firmeremo il nostro certificato di morte. Non possiamo firmare un testo che non preveda impegni forti per abbandonare i combustibili fossili”.

Inondazione a Samoa (2020)

Phase out VS Transitioning away.

Ma, al di là delle diverse reazioni a caldo, che valutazione possiamo dare della conclusione della COP 28?

Anzitutto va detto che è rimasto deluso chi si aspettava l'abbandono dei combustibili fossili (phase-out), perchè il documento finale propone un approccio molto più moderato con una più contenuta riduzione (phase –down), fino alla formulazione finale di un percorso di transizione (transitioning-away) che significa tutto e niente e rimane privo di qualunque. 

Non si tratta di una questione puramente terminologica, perchè qui le parole sono importanti, e se non c’è il Phase out (=fuoriuscita) ma il Transitioning away ( = graduale abbandono”) dei fossili, una ragione ci deve pur essere. E se ad applaudire per primi sono i Paesi petroliferi, facciamoci una domanda e diamoci una risposta…

Infatti nel  Global stocktake viene solo riconosciuta la necessità “di una riduzione profonda, rapida sia del consumo che della produzione di combustibili fossili in modo giusto, ordinato ed equo, in modo da raggiungere lo zero netto entro, prima o intorno al 2050, come raccomandato dalla scienza“…

Capite? “entro, prima o intorno” al 2050… Nemmeno Ettore Petrolini avrebbe saputo inventare una formulazione più ridicola per eludere  impegni vincolanti e irrevocabili…

Infatti dal punto di vista sostanziale non è stato imposto alcun obiettivo realizzabile e misurabile né sul piano quantitativo né su quello temporale per il perseguimento di questo percorso di transizione, lasciando ciascun Paese libero di comportarsi di comportarsi come meglio crede.

L’art. 28 – il cuore del comunicato finale – afferma che la Conferenza:

  • Riconosce la necessità di riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra in linea con il percorso della riduzione di 1,5 gradi”: (wow, gli obiettivi di Parigi 2015!).
  • “Invita le parti a contribuire agli sforzi globali secondo modalità determinate a livello nazionale”: (un impegno chiaro preciso determinato e misurabile! Complimenti!)
  • Tenendo conto dell’accordo di Parigi”: (ma dai! sono passati solo otto anni e sono finalmente arrivati anche loro all’accordo di Parigi mentre nel frattempo il fabbisogno energetico mondiale è coperto per l’86% da combustibili fossili).

Sempre l’art. 28 dice che occorre:

  • “Triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare la media globale del tasso annuo di efficienza energetica entro il 2030”.
  • Accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia prodotta dal carbone “unabated”, ovvero senza tecnologia di cattura e stoccaggio” (una tecnologia costosissima e ancora inesistente) .

Anche queste due indicazioni non sono nulla di più che semplici auspici perché nulla si dice su come questi obiettivi debbano essere perseguiti, misurati e quando debbano essere raggiunti.

Dunque perché Al Jaber ha definito storico” in questo accordo ? Cosa giustifica il trionfalismo della von der Leyen che ha detto “L’accordo di oggi segna l’inizio dell’era post-fossile”? in realtà nulla di quanto è stato sottoscritto autorizza a rispondere positivamente e, meno che meno, a considerare credibile la prospettiva di “transitare fuori dai combustibili fossili” entro il 2050.

La verità è che tutto questo trionfalismo da parte dell’organizzazione COP più petrolifera di sempre si giustifica con lo scampato pericolo di queste conclusioni: innanzitutto lo scampato pericolo di aver ottenuto un documento finale che non menziona minimamente i mille miliardi annui di sussidi alle fonti fossili che quindi continueranno tranquillamente (al riguardo ecco la nota della IEA https://www.iea.org/topics/energy-subsidies ), sussidi che, sia detto per inciso, ammontano a oltre 37,5 miliardi l’anno nel nostro Belpaese… (https://www.legambiente.it/rapporti-e-osservatori/stop-sussidi-alle-fonti-fossili/?fbclid=IwAR0CmlRwlndY42-qt8OSbfsG-ns9Qoty78tTnTbdDay42MLVUfEfTtvwaBs ), miliardi sottratti alle fonti rinnovabili, l’efficienza energetica e l’innovazione ambientale!

Inoltre non è stato approvato alcun impegno vincolante a reinvestire i profitti del fossile in tecnologie rinnovabili per accelerare la transizione, tecnologie fra le quali viene menzionato a sproposito anche il nucleare, che dunque “riciccia” come i peperoni mal digeriti, e viene accreditato di essere una tecnologia energetica a emissioni zero come le rinnovabili (certo che per equiparare il nucleare alle rinnovabili… ci vuole davvero coraggio. E questi arabi dimostrano di averlo…)

Adesso non ci resta che aspettare la COP 29, e vedere cosa si inventeranno per ritardare ulteriormente la transizione.

A proposito sapete dove si terrà la COP 29?
In un Paese Europeo? No perché la Russia ha posto il veto.
In un Paese tipo Samoa minacciato dal cambiamento climatico? Suvvia non scherziamo!
Per rimanere in continuità con il dirottamento fossile delle politiche climatiche, la COP 29 si terrà in Azerbaigian, un altro grande produttore ed esportatore di petrolio e gas naturale, noto ai più per aver dato vita al contestatissimo gasdotto TAP.

Insomma, un bel successo da tutti i punti di vista per il cartello dei petrolieri guidato dal Presidente-Ministro-Amministratore delegato Sultan bin Ahmed Al Jaber che sono riusciti a saltare sulla macchina in corsa della COP in perfetto stile James Bond e dirottarla verso i loro interessi e a garanzia dei loro profitti miliardari.

See you in Baku next year!